COPERTINA

IL CIBO NELLA STORIA

















                                                                               IL CIBO  NELLA STORIA 






Garum, il ketchup di 2000 anni fa




a cura di : Claudia Cepollaro


Siete ma stati negli Scavi di Pompei? Se vi capiterà di andarci, salterà subito all’occhio che in ogni angolo delle strade c’è un Thermopolium, nome delle taverne dell’antica Roma dove si poteva pranzare o fare uno spuntino. Qual’era la specialità dell’epoca? Se con una macchina del tempo ci catapultassimo 2000 anni in dietro nel tempo il taverniere risponderebbe sorridente :”senza ombra di dubbio… il Garum!” 
Tralasciando i gusti personali che ogni romano sicuramente aveva, se teniamo conto delle tante citazioni nei testi antichi del Garum e i ritrovamenti archeologici delle miriade di anfore che lo contenevano, era di certo uno dei cibi più consumati. Come il nostro Ketchup, era una salsa, densa o liquida a seconda della qualità, usata come condimento da accostare a molti piatti, con la differenza che nasceva dalla fermentazione di interiora di pesce unito a dell’altro pesce salato. Indispensabile nella lavorazione del Garum era il sale, perché, come ci racconta Plinio il Vecchio, è l’ingrediente che, se dosato nella giusta quantità, non consente al tutto di diventare una “puzzolente putrefazione” di “pesci guasti” .
 Il Garum è di origine greca e deriva dal nome di un pesce, il Garon o Garos (γάρον), che gli ellenici usavano per preparare il famoso condimento. Molti studiosi hanno visto nella “colatura d’acciughe” prodotta a Cetara, nella Costiera Amalfitana, la sua parente più stretta, in realtà forse il sapore è simile ad una salsa di pesce della cucina Vietnamita, il Nuoc Man, che infatti è usata nell’estremo Oriente sempre come condimento.      


Baelo Claudia, la città del Garum
Se esisteva il prodotto c’era sicuramente un’azienda che lo produceva, questo è quello che hanno trovato gli archeologi a sud della Spagna, nella provincia di Cadice, precisamente a 22 Km da Tarifa, città che affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Li sono stati trovati i resti di un’ antica città di pescatori chiamata Baelo Claudia. Oggi i resti sono conservati all’interno del Parco Naturale dello Stretto (Parque Natural del Estrecho) e oltre a mostrarci tutti gli elementi tipici di una città romana, ha riportato alla luce i resti di un’azienda che produceva Garum. Lo si capisce dalle tante vasche profonde e dal fatto che si trova proprio vicino alla spiaggia. Quindi i pescatori prendevano il pesce, lo portavano nell’azienda dove lo ripulivano e lo tagliavano a pezzi , e lo scarto costituito  dalle interiora e dalla testa del pesce  veniva salato e messo nelle vasche in modo da aspettare che il contenuto fermentasse per poi venderlo nelle anfore, molte delle quali sono state trovate  nell'Insula di San Paolo alla Regola a Roma e a Pompei. Quello della Spagna era, secondo Plinio il Vecchio, il Garum migliore perché, essendo un prodotto di origine greca, la Spagna è stata dominata dai Fenici e dai Cartaginesi che non usavano tutti i pesci ma alcuni in particolare, come gli sgombri.
La lavorazione

Sulla lavorazione importanti sono state le testimonianze Gargilio Marziale, autore vissuto nel III sec. d.C. che ci dice Si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri” . Oltre questo sottolinea l’importanza dell’aggiunta di aromi dal sapore forte da mettere sul fondo della vasca “aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano” sui quali si riverserà tutto i pesce. Il tutto andrà ricoperto da uno “strato di sale alto due dita” e “lasciato riposare al sole per sette giorni”. Per altri venti si dovrà “mescolare” fino all’ottenimento di un liquido denso che è il Garum. 
Più precise sono le Geoponiche, di autore ignoto, che arricchisce il racconto di Marziale, dicendo che il risultato che si avrà è la formazione del “liquamen” la cui parte liquida raccolta sarà il Garum, mentre la parte solida diverrà “allec”. C’era anche la versione casalinga del garum che si ottiene bollendo le interiora del pesce facendole scolare oppure quella fatta con le sole interiora del Tonno chiamato “aimation".

Sulla qualità come detto prima, Plinio il Vecchio ne la Naturalis Historia aveva parlato della Spagna come luogo di produzione migliore di Garum, anche il prezzo cambiava naturalmente e solo i ricchi potevano accedervi, come racconta Apicio,il primo gastronomo vissuto tra il 25 a.C E IL 37 d.C che nel suo libro “De re coquinaria” parla dei suoi ricchi banchetti e di 20 piatti ottimi se accompagnati con il GARUM.
Il garum sociorum, quello di miglio qualità, era usato anche come ottimo digestivo, disinfettanti, e medicinale contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi dei cani e del coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria e i malanni delle orecchi.





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Cibo nel Medioevo. Cosa si mangiava?


Siamo nel Medioevo in un castello e ci chiamano, con un bel campanaccio, per andare a mangiare. Cosa troveremo in tavola? Ci Imbatteremo in una disposizione di cibi, posate e oggetti vari molto diversa da oggi.


In primis non troveremo ne patate ne pomodori che furono introdotti in Europa solo dopo la Scoperta dell’America, e noi con questo viaggio nel tempo siamo ben 300 anni prima di Colombo.  

Via dunque tutto ciò che proviene dall’America come il mais, il caffè, il tabacco ed il peperoncino. Non fumerete dunque ma berrete sicuramente tanto vino preferibilmente allungato. Insaporirete il cibo con molte spezie, dunque niente ketchup o maionese ma pepe, zenzero, cannella, chiodi di garofano e zafferano.



Una volta a tavola alternerete cibi dal sapore deciso, che dovevano sposarsi con la grande acidità della panna che al tempo aveva un gusto aspro e veniva usata anch’essa per accompagnare i piatti; con l’agrodolce, perché spesso la selvaggina o il pollame si mangiava con l’aggiunta di zucchero o fichi secchi; e con l’aspro, causato dallo zucchero e dai prodotti usati per conservare i cibi come l’aceto … ricordiamoci che il Frigorifero non esisteva ancora.


 

Va aggiunto che le portate maggiormente apprezzate erano quelle più curiose alla vista dunque vi troverete di fronte portate con cibi impiattati  in modo particolare con accostamenti  di colori diversi o che nascondo sotto un tipo di pietanza dell’altro tipo di cibo. Se ci pensate il presentare dei piatti in modo artistico è in voga oggi in tutti i più grandi ristoranti ma questa pratica già c’era nel Medioevo.





Qui però parliamo di una tavola di Signori ricchi perché il popolo non poteva permettersi tutto questo andando verso zuppe di verdure, piatti a base di latte o cereali, frutta fresca o secca e, a partire dal XII secolo, anche verso uova e galline grazie alla possibilità delle famiglie più povere di acquistare animali da cortile.




Prima di mangiare diamo uno sguardo ai condimenti coi quali si cuoceva il cibo. Oggi si usa generalmente il burro a nord e l’olio a sud ma nel Medioevo la situazione era diversa. L’olio era usato preferibilmente solo per le insalate mentre per friggere o cucinare si usava il grasso del maiale detto lardo o strutto, che veniva sostituito dall’olio solo quando mancava.

 Al latte vaccino o di provenienza animale si preferiva il latte di Mandorle perché più a lunga conservazione oltre che le Mandorle stesse usate per il loro sapore dolciastro e per il colore che davano ai piatti o ai dolci molto apprezzato al tempo. Anche le uova, che da sole fungevano da piatto a se, veniva usato come legante un po’ come oggi. Anche l’aceto fatto con il vino “andato a male”era usato per condire.





Stanno arrivando i piatti ma non possiamo parlare di cibi suddividendoli come facciamo oggi con le definizioni di primo, secondo, contorno,frutta e dolce perché questo ordine si diffonderà solo a partire dal’1800.

Nel Medioevo il pranzo si svolgeva diversamente e parliamo sempre e comunque delle tavole dei nobili. In Francia le portate venivano disposte tutte insieme sulla tavola senza un ordine preciso, in altre parti d’Europa il tipo di cibo da dare ad ogni singolo commensale e la qualità di esso dipendeva dal commensale stesso secondo un ordine gerarchico. In linea generale si cominciava con frutta fresca di stagione ed insalate. Seguivano le carni preferibilmente arrostite. 

 Poi il dessert nel quale si servivano dolciumi che erano principalmente spezie confette allo zucchero o frutta e seguiva “l’issue de table “ composta da formaggi , frutta candita e dolci leggeri spesso accompagnati da ippocrasso o malvasia. Per finire, in un’altra stanza si degustava il “boute-hors” (letteralmente “caccia fuori”) che consisteva nel mangiare prodotti che favorissero la digestione o pulissero la bocca come il coriandolo e lo zenzero canditi, prodotti che bisognava masticare molto.



In Italia si potevano trovare, nell’ordine detto prima, ravioli o lasagne in brodo, carni lessate o arrostite, selvaggina , e, per concludere, torta di frutta e spezie.

Capitava spesso di incrociare formaggi prodotti più con latte di pecora che con quello di mucca  delle volte con l’aggiunta di erbe. Si mangiavano anche arrostiti alla griglia ed insaporiti con zucchero e cannella o fusi e spalmati su crostoni di pane. Il burro invece era prodotto ancora come al tempo dei romani.





Nel Medioevo si usava raramente il miele come dolcificante a differenza dei romani che ne facevano largo uso. Per dolcificare i ricchi usavano lo zucchero che era comunque ancora troppo costoso per questo veniva spesso sostituito con vini dolci, mosti naturali, frutta secca, uva, datteri e prugne.




Da bere oltre l’acqua c’erano il vino e l’agresto, un succo estratto dall’uva prima che giungesse  a maturazione. Si bevevano anche succhi di altri frutti come gli agrumi
.

Il Vino del tempo era invece meno equilibrato c’è però una differenza tra i vino prodotto prima e dopo l’Età Comunale. Nell’Alto Medioevo il vino era mantenuta ad un basso grado alcolico ed era allungato con vari ingredienti secondo il gusto cioè con l’acqua o con il mosto cotto e poteva essere anche aromatizzato con l’aggiunta di spezie e frutta. 

Nel Basso Medioevo invece c’è il salto di qualità diventando il papà del nostro vino, verrà lavorato cioè secondo regole che rispettino la separazione dei vitigni ( distinguendo il vino rosso da quello bianco e dunque non mescolando più l’uva) e il processo di vinificazione ( c’è un controllo delle diverse fasi di produzione). Il Vino veniva servito in coppe di metallo o in coppe di legno.




Tornando ai tempi di oggi possiamo concludere che molte cose sono cambiate da all’ora ma molti elementi della cucina medioevale sono rimasti o, quelli spariti, sono stati da base per molte delle nostre ricette moderne.



Testo di:

Claudia Cepollaro (Aries13Leo23)


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Gli Struffoli- Il "piccolo" avvolto nel miele 


Gli Struffoli sono un composto caratterizzato da uno speciale impasto, aromatizzato ai profumi d’arancia, con caratteristiche specifiche di pasticceria quali l’essere delle piccole palline con non più di 1 cm di diametro, fritte in olio o nello strutto, con una tipica preparazione estetica.
E’ un dolce natalizio di Napoli, anche se si trovano diverse varianti degli Struffoli in altre Regioni d’Italia. 

Ma sorprenderà soprattutto il sapere che la vera origine degli Struffoli  risale al tempo della Magna Grecia, e parliamo dell’ VIII-VII sec. a.C. quando lo “Struffolo” fu portato in Italia dai greci e si chiamava “Strongolous” che vuol dire: Arrotondato.

La loro forma ha una motivazione sia tecnica che simbolica. La motivazione tecnica è legata alla bontà, che si ottiene circondando uno struffolo con il miele; essendo uno struffolo infatti più piccolo del miele che ha intorno, sarà come mangiare direttamente del miele però con la consistenza dura della pasta al di sotto.

 Dal punto di vista allegorico invece ,in epoca greca, gli Struffoli dovevano servire per esaltare la dolcezza del miele in quanto simbolo di vita che nasce dalla morte.
Il miele ha avuto sempre un valore rituale e religioso molto elevato, il suo nome deriva dall’Ittita “Melit” e aveva qualità sacre:

- E’ Trasparente: per permettere all’uomo di vedere oltre quello che vedeva, cioè di scoprire il vero significato di una cosa, soprattutto se donata o sacrificata.
-  E’ Dorato: colore pari all’oro, che sottolinea la ricchezza di ciò che c’è sotto anche se oro non è.
- E’ Dolce: sapore che rende felici ed appagati nell’animo.

Per di più, simbolicamente, metterlo sulle labbra dei bambini, era un augurio che mangiandolo potesse accrescere il fisico e la conoscenza.

Dunque una piccola pallina “lo Struffolo” che alla vista appare come qualcosa di piccolo e di poco valore, una volta circondato dal miele, mostra il suo vero valore, l’amore che esso contiene.

Da qui lo Struffolo che a Napoli, nel periodo natalizio, diviene un simbolo religioso identificando Gesù Bambino, piccolo alla vista dell’uomo ma la persona più importante per Dio, e che solo il miele ci consente di vedere il suo valore divino e dunque di riconoscere la grandezza di Dio, che per amore dell’uomo sacrifica il suo unico figlio.

Per di più, poiché il miele simboleggiava il passaggio dalla morte alla vita, preannuncia la Resurrezione di Cristo.

Anche i canditi e i confettini colorati,che a Napoli si chiamano “Diavulilli”, sono aggiunti come decorazione finale, a ricoprire gli Struffoli, per ricordare un po’ tutti i personaggi che ci sono nel Presepe.


A Napoli, inizialmente gli Struffoli venivano preparati solo nei conventi che avrebbero donato il dolce alle famiglie nobili che si sono distinte per atti caritatevoli. Ma in seguito anche le famiglie più povere, che potevano permetterselo solo a Natale, lo preparavano soprattutto per i bambini.




















Quando la reperibilità del cibo 
                      era un problema in Europa




Entrare in un supermercato al giorno d’oggi e trovare tutto a portata di mano dal punto di vista alimentare è normale per chi vive nell’Europa del XXI secolo. Ma facciamo un salto indietro di 70 anni e catapultiamoci nell’Europa della II Guerra Mondiale, una delle guerre più terribile che l’umanità abbia mai conosciuto. Durante la guerra una delle carenze più grandi è stata senza dubbio quella del cibo.





La mancanza di cibo è stato un problema percepito ed affrontato in modo diverso in ogni singolo stato europeo, è l’est però, protagonista di aspre battaglie tra l’esercito tedesco di Hitler e l’Armata Rossa della Russia, ad aver vissuto lunghi momenti di carestia. Si passava dalla mancanza di prodotti solo di importazione a quelli di prima necessità che, nei casi più gravi, scarseggiavano per lungo tempo provocando la morte di molti. Ma andiamo a vedere caso per caso.

       -Mancanza di prodotti di importazione

Il problema nasce dal blocco del trasporto in Europa dovuto al danneggiamento delle infrastrutture e delle vie di comunicazione per via dei bombardamenti.

Il caso meno grave si registrò in Inghilterra dove mancarono solo i prodotti provenienti dal continente europeo come le arancia o dall’Africa come le banane. Invece in paesi come l’Italia o la Francia le grandi città furono carenti anche degli alimenti prodotti dalle loro stesse campagne o dalle loro industrie alimentari perché difficile da trasportare senza che andassero a male o perché inviate all’esercito.
La povertà ai massimi livelli

Prodotti come le uova, la carne, il latte, il burro e le verdure gli stati provvidero a distribuirli per Razionamento principalmente ai soldato e ai malati; la popolazione invece tentò di sostituirli con uova in polvere, margarina e verdure comprate al mercato nero o, solo per chi aveva un appezzamento di terra, con le uova delle proprie galline e con l’allevamento dei conigli, usati come carne.






       -I tedeschi se ne appropriano


Vedremo che una delle tecniche per risolvere la carenza di cibo e il Razionamento, cioè lo stato doveva in teoria distribuire lui stesso i prodotti alimentari alla popolazione. Ma quando lo stato era controllato da un popolo invasore, come nel caso dei territori conquistati da Hitler, le riserve di cibo venivano prese e portate in Germania, togliendole così alla popolazione a cui realmente era destinato.

Tutto questo con il fine sia di indebolire un popolo nemico, è il caso della Polonia o di molti ghetti ebraici, e sia per la mancanza in Germania di cibo soprattutto per i soldati che necessitavano di molte kilocalorie per combattere.

      -I Razionamento sbagliato 

In Grecia per esempio l’anarchia amministrativa portò il paese nel caos e non fu più distribuito cibo alla popolazione, chi poteva si affidava al mercato nero ma i prezzi erano troppo alti. Tutto questo causò nel 1942  una grave carestia che si risolse solo con un accordo tra la Germania e l’Inghilterra che consentì alle navi inglesi di raggiungere la costa e distribuire il cibo. Per la carestia in Grecia morirono 250.000 persone.




Andamento delle disponibilità Pro- capite per diverse tipologie di Carne dal 1865 al 2015

Risoluzione del problema alimentare:
Naturalmente gli Stati europei tentarono in modi diversi di contrastare l’emergere cibo avvolte riuscendoci e avvolte no. La tecnica più usata fu:

       -Il Razionamento


Razionamento della mensa di un soldato Alleato

Consisteva nella distribuzione equa del cibo a tutta la popolazione mediante lo stato e le sue istituzioni. Questa tecnica fu importante in Inghilterra dove tutti ricevettero il cibo necessario per la sopravvivenza indipendentemente dalla loro posizione sociale, solo i soldati ricevevano più cibo per poter combattere. Il Razionamento fallì dove erano i tedeschi a distribuirlo perché in quel caso più che al popolo pensarono ai propri soldati.



      -Il Mercato Nero


Dove gli stati non distribuirono bene o affatto il cibo i produttori destinavano sotto banco gli alimenti al mercato nero che però presentava pro e contro.

I pro erano che i civili potevano comprare il cibo che lo stato non avrebbe mai distribuito loro, però i contro furono i prezzi elevati dei prodotti, spesso volutamente alti, perché i venditori lucravano vendedoli solo quando la richiesta era alta. Quindi solo i più ricchi potevano veramente accedere a quei prezzi.








    -L’Arrivo Alleato 




La fine della guerra e gli aiuti alleati furono l’unico modo per far finire il problema della fame. Avvenne in Olanda dove l’Inghilterra per inviare gli aiuti alimentari dovette aspettare la liberazione dell’intero paese per evitare che i tedeschi si appropriassero dei beni alimentari. Questo accade in tutto il resto dell’Europa anche se ci vorranno anni e la ricostruzione delle infrastrutture e delle industrie per avere il ritorno del cibo in modo regolare.

a cura di: Claudia Cepollaro

            La Giovine Historia












Storia e cibo: I Gusti dell'Antichità, riportati all'Epoca Moderna.



a cura di : Claudia Cepollaro

Quando parliamo della tradizione culinaria italiana spesso facciamo riferimento a quella dieta Mediterranea che ha una storia più giovane se consideriamo il modo di vivere il mondo culinario dei nostri più illustri antenati : gli antichi romani. La dieta Mediterranea presenta infatti alimenti come pomodori, patate peperoni che sono giunti a noi solo dopo la scoperta dell’America e quindi sconosciuti per loro. Questo rendeva una tavola di 2000 anni fa ricca comunque di prodotti come il farro, il cavolo, i fichi, le noci, la carne, il pesce, ma meno colorata e soprattutto tendente all’agrodolce, specie nelle famiglie più agiate che potevano comprare ingredienti più costosi o preparare piatti più elaborati. Ma come facciamo a sapere tutto questo?

La risposta è semplice, da una parte grazie ai molti testi antichi che sono giunti sino a noi come quelli di Apicio, Marziale, Catullo o Petronio, nei quali la cucina e il cibo sono l’argomenti principale, sia per quello consumato in occasioni speciali dai più ricchi sia per quello di uso quotidiano e presente anche nelle famiglie meno agiate.

Da l’altra grazie ai reperti archeologici, come ritrovamenti di anfore ed ampolle dei quali possiamo intuirne, attraverso vari indizi, l’antico contenuto; le raffigurazioni pittoriche che spesso ritraggono scene di banchetti nel Triclinium, l’antica sala da pranzo della Domus romana.

 Ma la testimonianza più importante resta il ritrovamento di un prodotto alimentare del passato, un evento molto raro perché è difficile che cibi di natura animale o vegetale si conservino tanto a lungo da giungere fino a noi, questo è possibile per dei noccioli, per dei semi, per ossa o lische di pesce, ma per tutto il resto bisogna necessariamente che si presentino delle condizioni di conservazione eccezionali che permettano che quel prodotto casualmente arrivi a noi, e questo è successo per una bottiglia di vino ritrovata in una tomba romana in Germania del 325 d.C.  e per tantissimi alimenti ritrovati durante gli Scavi di Pompei e di Ercolano e che sono datati 79d.C.


Il motivo sta nell’evento eccezionale accaduto in quell’anno, quale è l’eruzione del Vesuvio, che in poco tempo ha sepolto tutto fermando per sempre una giornata di vita normale dei pompeiani intrappolandola sotto strati di lapilli, ceneri, fango e lava. Non solo case ed oggetti ma soprattutto resti organici come persone e prodotti alimentari, molti ritrovati nelle abitazioni, nei Thermopolia cioè i fast food dell’epoca e nei forni della città. A Pompei in un “Pistrinum”, antico nome dei panifici, più precisamente in quello di Modestus nei pressi delle Terme Stabiane , è avvenuto il ritrovamento più importante. All’interno del forno chiuso ancora dallo sportellino in ferro, furono ritrovati 81 forme di pane a otto spicchi, carbonizzati ma intatti. 


Con loro anche tantissimi semi di miglio, farro, favino e di veccia anch'essi carbonizzati usati per la produzione del pane. In altri luoghi degli scavi furono ritrovati piccoli bidoni contenente i colori anch'essi fatti con sostanze naturali, ma anche fichi, chicchi di grano, bucce di melograno e una pigna nell'acqua di Murecine. Alcuni di questi reperti erano esposti al Museo nazionale di Napoli, altri invece, la maggioranza, sono stati conservati nel Laboratorio di ricerche applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei.

Quest’anno che ricorre l’Expo che ha come tema proprio l’alimentazione, sono state creati due eventi museali diversi, uno ad Asti ed un altro a Milano, accomunati dal tema del cibo nell'antica Roma ma soprattutto dall'esposizione dei reperti “alimentari” ritrovati a Pompei, Ercolano, Stabia e in tutta la zona ai piedi del Vesuvio. Andiamo a scoprire di più sulle due mostre.



Ad Asti la mostra si chiama “Alle Origini del gusto. Il Cibo a Pompei e nell'Italia Antica”, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e dalla Fondazione Palazzo Mazzetti, luogo dove si svolgerà, e curata da Adele Campanelli ed Alessandro Mandolesi. La mostra, inaugurata il 7 marzo e che si potrà visitare fino al 5 Luglio 2015, ha come obbiettivo quello di far conoscere le abitudini alimentari dell’Italia e delle popolazioni che l’hanno abitata molti secoli fa, non solo dunque dei Romani ma anche degli Etruschi, dei Greci e delle altre popolazioni italiche, oltre che mostrare i prodotti alimentari più usati ed indispensabili per tutti loro  come il grano, l’olio, la carne, il pesce o il vino. Il tutto partendo dalla ricostruzione, con l’uso anche della tecnologia, di una  pranzo nel Triclinium dove ombre raffiguranti commensali romani sono proiettate dando la sensazione che realmente stiano banchettando. 

Un po’ in tutta la mostra c’è l’uso della tecnologia unita all'archeologia, come per un vaso greco circondato dalla proiezione di una imbarcazione o per la ricostruzione di una tomba con il corpo mostrato nelle fasi di sepoltura e del ritrovamento. Tra i reperti più importanti naturalmente i resti di alcuni dei cibi carbonizzati ritrovati a Pompei e in tutta l’area Vesuviana.






Approfondisci con il video:




La mostra di cui si sta invece parlando in questi giorni è quella attesa per il 21 Luglio 2015 al Palazzo Reale di Milano dal titolo “Natura, Mito e Paesaggio della Magna Grecia a Pompei” curata per l’EXPO 2015 dall’Università di Milano, di Salerno, dalla Soprintendenza archeologica di Pompei e dei beni archeologici di Napoli. Durerà fino al 10 Gennaio 2016 e mostrerà eccezionalmente tutti gli alimenti trovati a Pompei come gli 81 pani del Forno di Modesto, gli spicchi di aglio, i pinoli, i semi usati per la farina, pesche, datteri trovati nelle varie abitazioni. 


Un evento arricchito anche da raffigurazioni pittoriche in prestito dal Museo Nazionale di Napoli e anche da Paestum, come quella della Tomba del Tuffatore proveniente proprio da Paestum. Un vero e proprio evento arricchito anche da una promessa del Soprintendente degli Scavi di Pompei Massimo Osanna, cioè quella di musealizzare a Napoli tutti i reperti organici di Pompei. Una bellissima notizia per un abitante del Vesuvio come me!












Quisibeve: 
Il cibo rivisitato dal Manifesto della Cucina futurista.



a cura di Claudia Cepollaro




Il Futurismo ha come punto base una fiducia illimitata nel progresso e in tutto ciò che a lui è collegato : la velocità, la tecnologia, il dinamismo, l’industria e la guerra, quest’ultima vista dai sostenitori del movimento come evento per sfoggiare le innovazioni militari, non dimentichiamo infatti che il Futurismo si va collocare in un periodo di guerre terribili quali la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Oltre al Manifesto scritto da Marinetti, un anno dopo seguì quello dei “pittori futuristi” e quello del Manifesto Tecnico della Pittura Futurista firmato da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla e tanti altri artisti dell’epoca.


La Cucina Futurista 

Inaspettatamente il 28 Dicembre 1930 Marinetti pubblica sul quotidiano milanese “La Gazzetta del Popolo” il Manifesto della Cucina Futurista, a vent’anni da quelli precedenti. Perché? Sembra che il motivo sia stata una cena in un famoso ristorante milanese chiamato “Penna d’Oro”, durante la quale fu ispirato all’idea che l’atto del mangiare fosse anch’esso una forma  un’arte con una sua precisa dimensione estetica fatta di regole da seguire. Tale dimensione estetica aveva come punti cardini la partecipazione, durante il pranzo o la cena, di tutti i 5 sensi e non solo di quelli usati comunemente per mangiare, come l’olfatto e il gusto, ma anche degli altri tre cioè vista , tatto ed udito. Vediamo le regole che secondo Marinetti un vero Futurista doveva seguire per vivere al meglio l’esperienza in tavola :
               
    - L’Armonia Originale : la Vista 
Per Marinetti anche l’occhio vuole la sua parte e la tavola doveva avere “un’armonia originale” dove i bicchieri, i piatti e la tovaglia dovevano ricordare i colori o la provenienza dei cibi che avremmo mangiato; i cibi dovevano essere anche originali tali da stupire l’invitato.

   - I Bocconi Simultanei : il Gusto
Di piccola o media grandezza, i bocconi simultanei dovevano avere sapori particolari e nuovi tali ricordare il paese di provenienza della ricetta. Quindi favorì la sperimentazione di nuovi piatti e l’uso di nuovi attrezzi per crearli. Nel primo caso ci sono esempi di ricette futuriste come “Il Carne Plastico” uguale al nostro polpettone con l’aggiunta del miele e di una presentazione nel piatto tale da
renderla un’opera d’arte, infatti fu ideata dal pittore Fillia che aveva scelto come ripieno undici tipi di verdure per simboleggiare i diversi paesaggi italiani, o i “Rombi d’Ascesa” un risotto decorato con spicchi di arancio. Per quanto riguarda i nuovi attrezzi da usare insieme ai fornelli, Marinetti sarà il precursore della cucina molecolare grazie al cuoco Jules Maincave che, stanco della tradizionale miscelazione degli ingredienti, preferì gli accostamenti bizzarri tra le materie prime e l’uso di ozonizzatori che diano “ sapore di ozono a liquidi e bevande”, lampade a raggi ultravioletti, elettrolizzatori per “scomporre succhi estratti” e tanti altri attrezzi usati nei laboratori chimici. MARINETTI ha anche previsto per il futuro la nascita di pillole che avrebbero sostituito un intero pranzo, abolendo volumi e pesi oltre che il “quotidianismo mediocrista “ del piacere nel palato.

    - La Musica e le Parole : l’Udito
Per i Futuristi mangiare significava soprattutto gustare il cibo, e per farlo al meglio bisognava farlo in silenzio. Era abolito il parlare di politica o di qualsiasi altro tema a tavola, soprattutto mentre si mangiava. La musica era preferibile solo nell’attesa tra una portata e l’altra per permettere al palato di non “distrarre la sensibilità della lingua”. Solo in taluni casi un piatto doveva essere accompagnato da poesia e musica lieve che serva per ricordare l’origine e la provenienza della ricetta presentata. Marinetti poi si soffermò sui nomi da dare ai piatti e anche ai luoghi dove si mangia, abolì molte parole straniere sostituendole con altre italiane, per esempio la parola cocktail divenne “polibibita”, la parola Bar divenne “quisibeve”, il dessert si trasformò in “peralzarsi” e il pic-nic in “pranzoalsole”.

    - Il Piacere Tattile: il Tatto
Toccare i cibi era importante per avere un’esperienza sensoriale che vada oltre il semplice gusto, quindi erano abolite a tavola tutte le posate partendo dalle principale come la  forchetta e il coltello.

   - L’Arte dei Profumi: l’Olfatto
Prima della bocca il naso, o come scrive Marinetti “nari”, sono indispensabili per vivere
un’esperienza completa del mangiare a tavola. I piatti prima di assaggiarli, bisognava annusarli. Quindi il cameriere ne faceva prima sentire l’odore al commensale e poi posizionava il piatto sulla tavola. Per di più i piatti dovevano passare veloci e alcune portate potevano non essere mangiate per evitare ogni obbligo e favorire il divertimento. Consigliato l’uso di profumi da spruzzare tra una pasto ed un altro per ricreare il luogo d’origine di un piatto, che poi doveva essere tolto con i ventilatori.


La Pasta Asciutta bandita dai Futuristi


Oltre che ai sensi, la Cucina Futuristi seguiva una delle regole principali del Movimento, cioè il disinteresse verso il passato e dunque verso la tradizione. La Pasta era il simbolo della tradizione italiana, il vero è proprio simbolo e quindi da bandire. Un po’ come lo era per loro l’arte del passato o la storia,  perché per i Futuristi importava solo il futuro. Però c’era anche un altro motivo per cui Marinetti abolì la pasta, ed era un motivo scientifico, la pasta era definito un cibo molto calorico che faceva ingrassare.
 La Cucina futurista doveva impedire che “l’italiano diventi cubico e massiccio” ma snello tale da esaltare le forme del corpo. Diceva Marinetti nel Manifesto della Cucina Futurista : “prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di legno, ferro ed acciaio”. Diceva anche che a Napoli c’era un’area di scetticismo ironico proprio perché la pasta appesantiva il corpo creando questo stato d’animo. Nel Manifesto Marinetti riportò le parole di un medico napoletano dell’epoca chiamato dott. Signorelli che chiamava la pasta “alimento amidaceo” che dava squilibri al pancreas ed al fegato.


Tornando ai giorni d’oggi possiamo dire che la cucina futurista non esiste più, però ha anticipato molti concetti moderni, come l’idea della cucina molecolare, l’uso di sostanze nell’industria alimentare che non si trovano comunemente in cucina o anche del mangiare stando attenti alla salute.













Garum, il ketchup di 2000 anni fa




a cura di : Claudia Cepollaro


Siete ma stati negli Scavi di Pompei? Se vi capiterà di andarci, salterà subito all’occhio che in ogni angolo delle strade c’è un Thermopolium, nome delle taverne dell’antica Roma dove si poteva pranzare o fare uno spuntino. Qual’era la specialità dell’epoca? Se con una macchina del tempo ci catapultassimo 2000 anni in dietro nel tempo il taverniere risponderebbe sorridente :”senza ombra di dubbio… il Garum!” 

Tralasciando i gusti personali che ogni romano sicuramente aveva, se teniamo conto delle tante citazioni nei testi antichi del Garum e i ritrovamenti archeologici delle miriade di anfore che lo contenevano, era di certo uno dei cibi più consumati. Come il nostro Ketchup, era una salsa, densa o liquida a seconda della qualità, usata come condimento da accostare a molti piatti, con la differenza che nasceva dalla fermentazione di interiora di pesce unito a dell’altro pesce salato. Indispensabile nella lavorazione del Garum era il sale, perché, come ci racconta Plinio il Vecchio, è l’ingrediente che, se dosato nella giusta quantità, non consente al tutto di diventare una “puzzolente putrefazione” di “pesci guasti” .


 Il Garum è di origine greca e deriva dal nome di un pesce, il Garon o Garos (γάρον), che gli ellenici usavano per preparare il famoso condimento. Molti studiosi hanno visto nella “colatura d’acciughe” prodotta a Cetara, nella Costiera Amalfitana, la sua parente più stretta, in realtà forse il sapore è simile ad una salsa di pesce della cucina Vietnamita, il Nuoc Man, che infatti è usata nell’estremo Oriente sempre come condimento.      




Baelo Claudia, la città del Garum

Se esisteva il prodotto c’era sicuramente un’azienda che lo produceva, questo è quello che hanno trovato gli archeologi a sud della Spagna, nella provincia di Cadice, precisamente a 22 Km da Tarifa, città che affaccia sullo Stretto di Gibilterra. Li sono stati trovati i resti di un’ antica città di pescatori chiamata Baelo Claudia. Oggi i resti sono conservati all’interno del Parco Naturale dello Stretto (Parque Natural del Estrecho) e oltre a mostrarci tutti gli elementi tipici di una città romana, ha riportato alla luce i resti di un’azienda che produceva Garum. Lo si capisce dalle tante vasche profonde e dal fatto che si trova proprio vicino alla spiaggia. Quindi i pescatori prendevano il pesce, lo portavano nell’azienda dove lo ripulivano e lo tagliavano a pezzi , e lo scarto costituito  dalle interiora e dalla testa del pesce  veniva salato e messo nelle vasche in modo da aspettare che il contenuto fermentasse per poi venderlo nelle anfore, molte delle quali sono state trovate  nell'Insula di San Paolo alla Regola a Roma e a Pompei. Quello della Spagna era, secondo Plinio il Vecchio, il Garum migliore perché, essendo un prodotto di origine greca, la Spagna è stata dominata dai Fenici e dai Cartaginesi che non usavano tutti i pesci ma alcuni in particolare, come gli sgombri.
La lavorazione



Sulla lavorazione importanti sono state le testimonianze Gargilio Marziale, autore vissuto nel III sec. d.C. che ci dice Si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri” . Oltre questo sottolinea l’importanza dell’aggiunta di aromi dal sapore forte da mettere sul fondo della vasca “aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano” sui quali si riverserà tutto i pesce. Il tutto andrà ricoperto da uno “strato di sale alto due dita” e “lasciato riposare al sole per sette giorni”. Per altri venti si dovrà “mescolare” fino all’ottenimento di un liquido denso che è il Garum. 

Più precise sono le Geoponiche, di autore ignoto, che arricchisce il racconto di Marziale, dicendo che il risultato che si avrà è la formazione del “liquamen” la cui parte liquida raccolta sarà il Garum, mentre la parte solida diverrà “allec”. C’era anche la versione casalinga del garum che si ottiene bollendo le interiora del pesce facendole scolare oppure quella fatta con le sole interiora del Tonno chiamato “aimation".


Sulla qualità come detto prima, Plinio il Vecchio ne la Naturalis Historia aveva parlato della Spagna come luogo di produzione migliore di Garum, anche il prezzo cambiava naturalmente e solo i ricchi potevano accedervi, come racconta Apicio,il primo gastronomo vissuto tra il 25 a.C E IL 37 d.C che nel suo libro “De re coquinaria” parla dei suoi ricchi banchetti e di 20 piatti ottimi se accompagnati con il GARUM.

Il garum sociorum, quello di miglio qualità, era usato anche come ottimo digestivo, disinfettanti, e medicinale contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi dei cani e del coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria e i malanni delle orecchi.