OGM ed alimenti per Neonati:
il 10% di quelli in vendita hanno OGM
La
tecnologia degli alimenti è impiegata anche nelle produzioni di alimenti per
neonati. Tuttavia la modernità e le nuove idee produttive possono talvolta
nascondere situazioni particolari, è il recente caso sugli OGM riscontarti in
cibi per i più piccoli.
La ricerca
ha infatti evidenziato che, analizzando i dati relativi al territorio
italiano, su 688 campioni analizzati, la percentuale di quelli positivi
è stata del 2%. Ma se si osservano solo i prodotti per lattanti, come
creme di mais e riso, i campioni sono stati 20 e 2 sono risultati positivi,
pari al 10%.
Per quanto
riguarda l’analisi regione per regione, spicca il Molise con 10 campionature
di cui 2 positive, pari al 20%. Segue l’Emilia Romagna con 58 campioni
prelevati di cui 4 positivi, pari al 7%. Tutte le positività riscontrate,
comunque, si sono rivelate “sempre inferiori alla soglia di tolleranza dello
0,9% “.
In totale
nel 2015 “si conferma che sul mercato italiano sostanzialmente i
prodotti alimentari hanno rispettato i requisiti di etichettatura previsti
dalla normativa vigente, assicurando una corretta informazione al consumatore
“.
Rispetto
invece ai cibi d’importazione, i 116 campionamenti effettuati hanno consentito
di intercettare 4 partite non conformi per la presenza di riso Ogm non
autorizzato proveniente dalla Cina.
Si può
concludere che,
Il 2% degli
alimenti analizzati nel 2015 contiene, anche se in minima dose, Organismi
geneticamente Modificati (Ogm), e paradossalmente la percentuale
sale al 10% dei campioni se si prendono in considerazione i prodotti per
neonati. Complessivamente “la presenza è limitata ed a concentrazioni
estremamente basse “, quindi nella norma.
Ciò emerge
dalla Relazione sul Piano nazionale Ogm relativo ai risultati del 2015,
appena pubblicato sul sito del Ministero della Salute.
Il numero
complessivo dei campioni prelevati nel 2015, provenienti da prodotti
trasformati e materie prime principalmente a base di mais, soia e riso, sia
coltivati con metodi tradizionali che Bio, è stato di 804, di cui 688 sul
territorio e 116 di importazione.
Come sempre Agroalimenti e Dintorni informa di fare particolare attenzione a ciò che si acquista, cercando di evitare il più possibile prodotti ottenuti da produzioni "intensive" e di prediligere un'alimentazione consapevole e conosciuta.
Come sempre Agroalimenti e Dintorni informa di fare particolare attenzione a ciò che si acquista, cercando di evitare il più possibile prodotti ottenuti da produzioni "intensive" e di prediligere un'alimentazione consapevole e conosciuta.
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Un Allevamento come tanti: Il Caso Amadori
Verità o
falsità, , esagerazione o pratica realtà , quanto emerge dalle ultime notizie
messe in risalto dal Programma Report della RAI, mostra ancora una volta quanto
il sistema alimentare ha troppe falle e molte chiacchiere, falle e chiacchiere
che conducono il buon consumatore ha
pagare a caro prezzo questa attitudine.
Per la sensibilità del caso Agroalimenti e Dintorni
posta qui un breve abstract della Notizia :
Nella puntata di domenica 29 maggio su RaiTre, la
trasmissione Report si è occupata del caso dei batteri
resistenti agli antibiotici e degli antibiotici in generale che
assumiamo con il cibo: a volte anche senza saperlo, perché utilizzati in grande
quantità negli allevamenti intensivi di animali.
La giornalista durante la trasmissione ha mostrato alcune brutte immagini che
provenivano da un allevamento di Amadori in Emilia-Romagna in cui, tra le
altre cose, si vede un addetto orinare dentro la struttura proprio vicino agli
animali. Amadori è una delle principali aziende italiane nel settore avicolo.
Poche
ore dopo la messa in onda, Amadori ha replicato con una nota al servizio
televisivo: “L’azienda è sconcertata”, si legge, “per la visione assolutamente
parziale e scorretta offerta dalla trasmissione rispetto al suo
operato. La redazione di Report è entrata all’interno degli allevamenti
illegalmente, senza autorizzazione, ha contattato la nostra azienda solo dopo
essere già entrata nella proprietà privata: questa modalità di recupero di
documentazione ci è sembrata fortemente scorretta e per questo abbiamo deciso
di non rilasciare alcuna intervista”.
Pubblicità
La puntata
di Report ha affrontato il tema dell’uso dei “farmaci miscelati nell’acqua”,
senza i quali, dice Giannini nel servizio, “non sarebbe possibile mantenere in
vita migliaia di animali negli allevamenti”. La giornalista precisa di aver
chiesto di poter visitare alcune strutture Amadori, ma senza successo. A
segnalare presunte violazioni delle norme su igiene e benessere è stata
l’associazione “Essere animali”, grazie alla cui collaborazione sono state
recuperate immagini provenienti dall’interno delle strutture. La giornalista
nel servizio mette in evidenza come “durante il recupero per il carico notturno
verso il macello, gli addetti non usano buone maniere”.
E continua: “Non
sappiamo se questo sia consentito dal regolamento del cosiddetto benessere
animale, forse neppure orinare dentro la struttura”. L’allevamento intensivo in
Italia riguarda 30 milioni di animali e, secondo i dati rivelati da
Report, 1300 tonnellate di antibiotici. “E’ uno dei consumi più elevati
d’Europa. Il totale è un giro di affari di 32 miliardi di euro l’anno
per la produzione di carne e trasformati, a cui vanno sommati i fatturati delle
case farmaceutiche”.
L’azienda
Amadori ha replicato punto per punto alle accuse. Innanzitutto viene detto che
le immagini sono “vecchie: “Sono state girate”, si legge nella nota, “oltre 6
mesi fa, in una struttura datata compresa all’interno di un piano aziendale di
ristrutturazione e che già oggi è completamente ristrutturata. Le riprese hanno
in oggetto principalmente un locale isolato rispetto al resto della struttura,
destinato al ricovero di animali che hanno manifestato dei problemi,
come la legge prevede per ogni allevamento. Sono quindi immagini che non
rappresentano in maniera veritiera il nostro sistema d’allevamento”.
Per quanto
riguarda i topi, continua Amadori, si tratta “di un problema che impegna tutti
gli allevatori”: “La nostra azienda investe notevoli risorse per mettere in
atto piani di derattizzazione concordati e verificati regolarmente dalle ASL”.
Sul dipendente filmato mentre fa pipì nell’allevamento si parla invece di “caso
isolato”: “Indagheremo e prenderemo provvedimenti rispetto all’episodio non
conforme adottato dall’operatore all’interno dell’allevamento e riverificheremo
le procedure di controllo messe in atto per evitare il loro accadimento”.
Amadori
rivendica, sempre nella nota, anche un piano di investimenti per adeguare gli
allevamenti “ai più recenti standard di benessere animale e di
biosicurezza”: “Ribadiamo che sono rispettate le normative europee e italiane,
e le strutture sono sottoposte a controlli regolari effettuati da veterinari
interni ed esterni all’azienda”.
A proposito degli antibiotici invece,
l’azienda ribadisce di usarli solo “a scopo curativo, mai preventivo e solo nei
casi in cui sia strettamente necessario, individuati in accordo coi
veterinari, secondo i limiti e i vincoli imposti dalla vigente normativa”: “In
casi di utilizzo di antibiotico”, spiega ancora Amadori, “gli animali vengono
avviati alla macellazione solo dopo il superamento del ‘periodo di
sospensione‘, cioè il tempo necessario affinché il farmaco sia smaltito prima
che l’animale venga avviato alla macellazione e quindi al consumo”.
L’azienda
cita anche a sua difesa i risultati del Piano Nazionale Residui (PNR)
del ministero della Salute, “piano di campionamento e analisi effettuato dalle
Asl con lo scopo di verificare che i farmaci veterinari siano utilizzati
correttamente”, che dice come “nelle produzioni zootecniche italiane non ci
sono problematiche rilevanti per quanto riguarda residui di antibiotici
pericolosi per l’uomo”.
Amadori conclude dicendo di essere un’azienda impegnata
attivamente nella riduzione degli antibiotici: “Negli ultimi 3 anni ne abbiamo
ridotto l’uso nella filiera pollo e tacchino di circa il 50%”.
Storia di Vita Alimentare
La gestione
del controllo Qualità all’interno dell’Azienda alimentare è un aspetto
estremamente impostante sia sul lato del Business sia sul piano della fidelizzazione
del consumatore/cliente.
Di recente è
stato pubblicato sul sito Post un articolo che metteva in risalto una questione
scottante e particolare che riguardava il detto Pasticcio sui Noodles precotti
della Nestlè in India.
Sempre
più spesso la Nestlé, una delle più grandi e famose aziende di prodotti
alimentari al mondo, è criticata e coinvolta in polemiche e casi giudiziari:
negli anni Settanta ci fu il caso degli ingredienti sospetti nel latte in polvere, negli
ultimi anni Nestlé è stata accusata di aver impiegato lavoratori
minorenni in alcuni paesi africani e di aver venduto cibo per animali
domestici contaminato in Venezuela.
Il
prodotto della Nestlé a scatenare il problema sono i Noodles, una
sorta di spaghetto speziato e pronto da cuocere, molto diffuso in Asia , venduti da Nestlé col marchio Maggi. I noodles
di Maggi venivano venduti in una confezione gialla divisa in due: da una parte
c’erano i noodles e in un pacchetto separato le spezie con
cui bollirli, vendute in diverse varietà.
Prima
che Nestlé iniziasse a vendere i Maggi, nel 1983, i Noodles non erano
per nulla diffusi in India: Nestlé fu abile a scegliere le spezie venendo
incontro ai gusti degli indiani e a metterli in vendita al prezzo molto basso
di due rupie (oggi un pacchetto si trova a meno di 10 rupie, cioè circa 10
centesimi di euro).
Maggi
diventò presto un popolare snack per ragazzi – il suo storico slogan pubblicitario
è “Mamma, ho fame!” – e negli anni successivi si diffuse sempre di più.
Nel 2014 in India erano state consumate 400mila tonnellate di Noodles Maggi,
e il marchio era considerato uno dei più affidabili dai consumatori.
Nello
stesso anno Nestlé – che in India ha otto fabbriche – aveva ricavato dalla
vendita dei prodotti Maggi circa 400 milioni di dollari, un quarto delle
entrate totali ottenute in India.
Un
ispettore della commissione, fra i tanti altri prodotti, fece analizzare una
confezione di Maggi comprata nel supermercato davanti al suo ufficio.
I
risultati delle analisi arrivarono qualche settimana dopo: fra gli ingredienti
di Maggi c’era anche il glutammato monosodico (chiamato anche MSG), un
amminoacido presente nel latte e nei formaggi che in passato è stato ritenuto
pericoloso, senza però prove scientifiche definitive.
In India i prodotti che
contengono il glutammato monosodico vanno venduti con l’avvertenza che
potrebbero essere nocivi per i bambini sotto ai 12 mesi.
Tuttavia
non è ancora chiaro il fatto che i laboratori di Nestlé in India, sembrano
all’apparenza molto più puliti ed efficienti di quelli pubblici indiani, che Forbes descrive
sostanzialmente come più antiquati. Semplicemente Nestlé diceva una cosa,
diversi laboratori indiani un’altra. «Molti indiani, compresi esperti del
settore, continuano a sospettare che nei Maggi ci fosse effettivamente
qualcosa che non andasse.
Gli stessi esperti ritengono difficile che così tanti
test governativi possano essersi sbagliati, e suggeriscono che in una
delle fabbriche di Nestlé i prodotti Maggi possano essere venuti a contatto con
del piombo contenuto in acqua contaminata, materie prime o vecchie
attrezzature (magari con la complicità di qualche operaio distratto)».
Il
breve abstract che è stato ripreso dal sito Post, fa ulteriormente
soffermarci sul fatto che c’è ancora e sempre molto da fare in tema di Sicurezza
e Qualità alimentare e che le procedure a garantire la tutela dei consumatori, sia a livello
nazionale che internazionale sono sempre in tempo ad essere rivisitate.
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Glifosato: La valutazione Scientifica e Parlamentare
Glifosato
Composto
chimico
Il glifosato,
o glifosate, in inglese glyphosate, è un analogo aminofosforico della glicina,
inibitore dell'enzima 3-fosfoshikimato 1-carbossiviniltransferasi, noto come
erbicida totale.
Densità: 1,7 g/cm³
Brevi Cenni
Il glifosato, o glifosate, in inglese glyphosate
(N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P), è
un analogo aminofosforico della glicina, inibitore dell'enzima 3-fosfoshikimato
1-carbossiviniltransferasi (EPSP sintasi), noto come erbicida totale (non selettivo). Il composto
chimico è divenuto di libera produzione nel 2001,
anno in cui è scaduto il relativo brevetto di produzione, fino ad allora
appartenuto alla Monsanto Company.
Come agisce
Il glifosato
è un diserbante sistemico di post-emergenza non selettivo (fitotossico per
tutte le piante). A differenza di altri prodotti, viene assorbito per via
fogliare (prodotto sistemico), ma successivamente traslocato in ogni altra
posizione della pianta per via prevalentemente floematica.
Questo gli
conferisce la caratteristica di fondamentale importanza di essere in grado di
devitalizzare anche gli organi di conservazione ipogea delle erbe infestanti,
come rizomi, fittoni carnosi
ecc., che in nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati.
L'assorbimento
del prodotto avviene in 5-6 ore, e il disseccamento della vegetazione è
visibile in genere dopo 10-12 giorni. Il glifosato è un forte chelante, il che
significa che immobilizza i micronutrienti critici, rendendoli indisponibili
per la pianta. Ne deriva che l'efficienza nutrizionale genetica delle piante ne
viene profondamente compromessa.
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L’attualità
In questi giorni alcuni ricercatori hanno condotto un importante analisi denominata test salvagente ed hanno potuto constatare la presenza del Glifosato in ben 50 alimenti tra cui anche la pasta e l'acqua. Il pesticida usato in agricoltura fino allo scorso anno era sconosciuto a molti ora, invece, è diventato notissimo da quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha incluso tra gli alimenti cancerogeni.
Contro la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa l'EFSA che ha dichiarato che il Glifosato potrebbe nuocere alla salute ma che giornalmente si assumono solo 0,5 mg per kg di peso corporeo.
Sono tantissimi paesi che ritengono che il pesticida debba essere bandito. Il Glifosato e il pesticida più diffuso in tutto il mondo ed è utilizzato dal 1950 in un primo momento il Glifosato era stato ritrovato in alcune birre tedesche poi in alcune svizzere in seguito i ricercatori italiani hanno fatto il test salvagente che ha potuto constatare la presenza anche in altri alimenti come pasta e l'acqua.
Un noto ricercatore ha condotto lo studio sul Glifosato e ha così commentato i risultati del test: "una roulette russa trattino in cui nelle aziende nei consumatori possono stare tranquilli. Per una stessa marca, infatti, sono stati trovati i lotti in cui è stato rintracciato l'erbicida accanto al lotti che non lo contenevano. I residui fortunatamente sempre inferiore ai limiti di legge, testimoniano però una contaminazione diffusa, quasi ubiquitaria".
Il massimo responsabile del di Confindustria del settore dolci e paste italiane, ha preso le difese dei prodotti del nostro paese e dicendo: "evitiamo allarmismi ingiustificati, che rischiano di disorientare tutti, non solo i consumatori, ma anche chi produce alimenti, le quantità rilevate sono così minime che non sarebbe possibile superare i limiti di sicurezza stabiliti dalle autorità sanitarie neppure mangiando 200 kg di cibo al giorno."
Il resoconto Parlamentare UE
Il giudizio delle 38 associazioni ambientaliste e
dell’agricoltura biologica, che stanno portando avanti da mesi la campagna
nazionale Stop-Glifosato, sul voto espresso oggi in Europa dall’Assemblea
parlamentare.
“Anche se il Parlamento europeo nella risoluzione
approvata ha chiesto il divieto d’ uso dell’erbicida a base di Glifosato in
aree verdi, pubbliche e private – quanto detto da Maria Grazia Mammuccini
portavoce del tavolo – ha perso però una grande occasione per una svolta chiara
verso un’agricoltura più pulita a tutela della salute dei cittadini e
dell’ambiente. Non basta infatti un divieto nei parchi e nei giardini per
evitare la contaminazione su larga scala di cibo, acqua, suolo e aria”.
L’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA),
formalmente responsabile per la classificazione UE delle sostanze cancerogene,
ha avviato nel frattempo una revisione della possibile cancerogenicità,
mutagenicità delle cellule germinali e tossicità riproduttiva del Glifosato, ma
tale revisione non sarà completata prima della fine del 2017 mentre la
decisione sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso del Glifosato nei 28 paesi UE
dovrà essere presa dalla Commissione entro la fine del prossimo mese di giugno.
Il Glifosato è l’erbicida più utilizzato al mondo essendo presente in 750
formulati ed è il diserbante maggiormente collegato alle sementi Geneticamente
Modificate (OGM) di mais, soia e cotone il cui DNA è stato modificato da Monsanto
per resistere a questo diserbante. In Italia negli ultimi anni l’ISPRA ha
raccolto dati sulla presenza di oltre 175 pesticidi nelle acque, superficiali e
sotterranee. Tra le sostanze che maggiormente hanno superato i limiti di legge
ci sono il Glifosato e l’AMPA (un metabolita del Glifosato stesso).
Persone,
piante e animali sono oggi esposte in tanti modi al Glifosato e ai prodotti
commerciali che lo contengono.
Oltre che in agricoltura è ampiamente impiegato dagli
Enti Pubblici per la pulizia dei margini stradali, delle massicciate
ferroviarie e dei binari ed è presente anche in prodotti da giardinaggio e per
l’hobbistica. Agricoltori, semplici passanti e altri operatori possono essere
esposti a queste sostanze durante le applicazioni, anche in aree pubbliche
(scuole e giardini) frequentate da bambini.
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L'altra possibilità di Produrre: Il Cibo Equo e Solidale
In un mondo che si evolve e si muove in un modo così veloce, spesso l'occhio del consumatore è distratto su ciò che può definirsi il "Buon commercio", che, in altri termini, può essere definito anche la "Buona Produzione".
Molto speso infatti cibi e prodotti vari sono preparati in modo "Intensivo" giusto per soddisfare la sete di consumo sfrenato ma al di dietro nascondono una realtà spesso devastante in termini di vite umane, forza lavoro e impatto ambientale. Ecco pechè nasce il Termine Equo e solidale, vediamo insieme di che si tratta e soprattutto come contribuire in questo progetto. La Qualità non è solo il Prodotto ma anche la sua Storia...
Il commercio equo e solidale o commercio equo è una forma di commercio internazionale nella quale si cerca di far crescere aziende economicamente sane nei paesi più sviluppati e di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso; in questo senso si contrappone alle pratiche di commercio tradizionale.
Infatti i produttori agricoli di queste merci formano una miriade di piccole entità, che non hanno alcuna forza contrattuale da opporre ai grossisti locali (e/o internazionali) presso i quali si riforniscono le aziende multinazionali, nel determinare il prezzo della materia prima, consentendo così a questi operatori la determinazione del prezzo, che viene ovviamente tenuto il più basso possibile. Uno dei punti qualificanti del commercio equo e solidale è quello di promuovere cooperative di produttori sufficientemente grandi da potersi confrontare con successo ai grossisti.
Lo sviluppo del Commercio Equo Solidale va di pari
passo con la crescita della coscienza critica del consumatore e con l’aumentata
sensibilità ai temi del biologico e della sostenibilità ambientale. Facendo la
spesa ci si interroga di più sul peso delle nostre scelte, sui risvolti sociali
ed economici che si nascondono dietro a un’etichetta, sull’impatto che il
consumo ha nei confronti dell’ambiente che ci circonda.
Così come dopo il consumo ci si preoccupa di
riciclare e smaltire i rifiuti, cercando ad esempio di scegliere prodotti con
imballaggi biodegradabili, aumentano le preoccupazioni anche sul prima,
sulla storia del prodotto e sul percorso che l’ha portato fino al nostro
carrello.
Il marchio Fairtrade da solo riassume e palesa questo percorso,
garantendo che non è inciampato in nessuno dei suoi passaggi in forme di
sfruttamento del lavoro e dell’ambiente! Tendenzialmente il prezzo finale al
consumo dei prodotti equo solidali è un po’ più alto, ma ci può stare viste le
premesse e rispetto alla qualità.
Anche il nostro editore CIR Food è attivamente impegnato in questo senso.
Anche il nostro editore CIR Food è attivamente impegnato in questo senso.
Fair Trade è il termine inglese per definire il Commercio
Equo Solidale, esprime il superamento della contraddizione esistente tra le
idee di commercio e di equità. Contraddizione perché siamo abituati a pensare
che, nel mercato, il guadagno delle varie parti coinvolte nel percorso di una
merce dal produttore allo scaffale sia costellato di piccoli grandi soprusi, in
cui ognuno alza la propria fetta a spese di qualcun altro. Sono le “leggi del
mercato” .
In inglese il termine fair non significa solamente
“giusto/equo”, ma viene usato anche per descrivere chi nella competizione gioca
pulito. E il Commercio Equo Solidale in effetti fa proprio questo: gioca pulito
con tutti i soggetti coinvolti. Resta però un Commercio vero è proprio, non è
beneficienza, né un circuito elitario per pochi: punta alla massimizzazione del
profitto e a trovare il suo spazio nella grande distribuzione, solo che lo fa
lottando contro lo sfruttamento e la povertà legate a cause economiche,
politiche o sociali.
I vincoli da osservare per entrare nella rete del
Commercio Equo Solidale riguardano entrambe le parti in causa. Alcuni esempi
dei vincoli che hanno i produttori sono: il divieto del lavoro minorile,
l’impiego di materie prime rinnovabili, l’investimento sul territorio in
formazione/scuola, la cooperazione tra produttori, il sostegno alla propria
comunità, la creazione dove possibile di un mercato anche interno.
Gli acquirenti si impegnano ad assicurare sbocchi
commerciali e prezzi minimi sempre certi che garantiscano ai produttori una
vita dignitosa e un margine di investimento nel sociale locale, contratti di lunga
durata abbinati se necessario a prefinanziamenti e consulenze sui prodotti e
sulle tecniche di produzione. Il quadro delineato è quello di un reciproco
impegno, che innesca una spirale virtuosa di crescita.
In Italia il documento-“manifesto” è la Carta
Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale. Tra i soggetti principali
c’è sicuramente Fairtrade
Italia, un consorzio senza scopo di lucro che certifica e coordina
tutti i prodotti commercializzati a marchio Fairtrade, li diffonde anche nella
grande distribuzione e ne garantisce con il suo simbolo origine e
caratteristiche.
Poi Ctm Altromercato, la più grande organizzazione di
commercio equo solidale italiana, che comprende 130 associazioni e cooperative,
gestendo oltre 350 Botteghe del Mondo. Le Botteghe del Mondo, infine, sono i
negozi al dettaglio che distribuiscono i prodotti del commercio equo solidale
nelle nostre città.
In
Coclusione tutti i prodotti del commercio equo e solidale, che siano prodotti
alimentari o prodotti d’artigianato, rispettano i seguenti criteri:
- Pagamento di un prezzo equo. Il prezzo d’acquisto delle materie prime viene accordato direttamente con il produttore: si tratta di un prezzo che non copre soltanto i costi sostenuti per produrre una determinata materia prima ma che rende possibile una produzione rispettosa dell’ambiente, dei lavoratori e delle comunità.
- Equità di genere. Il lavoro delle donne non è soggetto a discriminazioni ma è remunerato come il lavoro degli uomini.
- Migliori condizioni di lavoro. Commercio equo vuol dire garantire condizioni di lavoro dignitose, migliori compensi e un ambiente di lavoro sicuro e salutare.
- Lotta al lavoro minorile. Le organizzazioni che promuovono il commercio equo rispettano la convenzione ONU sui diritti dell’infanzia così come le leggi e le norme sociali locali: in questo modo assicurano che, nel caso in cui i bambini partecipassero ai processi produttivi, questo avvenga senza che il lavoro metta in pericolo la loro sicurezza e soprattutto nel rispetto del loro bisogno di giocare e del loro diritto ad un’istruzione.
- Rispetto dell’ambiente. Il commercio equo incoraggia produzioni rispettose dell’ambiente.
- Migliori relazioni commerciali. Il commercio equo non cerca di trarre il maggior profitto dagli scambi commerciali gravando sui piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo da cui acquistano le materie prime. Le relazioni che vengono instaurate sono dirette (quindi evitano intermediazioni speculative), durature (consentono ai produttori di programmare le proprie attività) e basate sulla solidarietà, sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
Oggi grazie
al Commercio equo e solidale vivono più dignitosamente circa 7 milioni di
persone nei paesi del sud del mondo, tra produttori e rispettive famiglie. Tra
i prodotti alimentari del commercio equo, che si possono trovare in molti
supermercati e nelle botteghe del mondo, ci sono: caffè, miele, cioccolata,
muesli, succo d’arancio, banane fresche, tè, spezie.
Le
organizzazioni internazionali più importanti che operano in diversi ambiti per
promuovere e attuare il Commercio Equo e Solidale sono FLO
- Fair Trade Labelling Organizations, il Coordinamento internazionale dei
marchi di garanzia, di cui fa parte anche Fairtrade Italia, News
- Network World's Shops, il coordinamento internazionale delle Botteghe del
Mondo, Efta - European Fair Trade Association, Ifat
- International Federation of Alternative Trade, coordinamento internazionale
tra centrali di importazione e produttori.
Questi organismi si riconoscono in FINE, sigla informale che sta per Flo, Ifat, News ed Efta. FINE è il tavolo di coordinamento per elaborare strategie comuni per favorire l'accesso al mercato dei piccoli produttori.
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RICONOSCERE UN BUON ACETO BALSAMICO:
PROFILO E CARATTERISTICHE
L'aceto balsamico "non tradizionale" viene prodotto nelle provincie di Modena e Reggio Emilia
(i cosiddetti antichi dominii estensi), pur essendo definito dall'IGP unicamente come di Modena.
Viene prodotto generalmente unendo al mosto cotto (non fermentato e acetificato) aceti di vino, ed eventualmente caramello ed addensanti per ottenere una densità ed un sapore similari a quelli del prodotto tradizionale. Generalmente il sapore è caratterizzato da un'acidità vinosa, ossia più aspra e marcata da un punto di vista sensoriale.
È richiesto un invecchiamento minimo di due mesi, non necessariamente in contenitori di legno, che salgono a tre anni per la dicitura "invecchiato". Visto la possibilità di industrializzazione del processo produttivo, un'azienda di medie dimensioni può arrivare a produrne diverse centinaia di litri al giorno.
Più recente è l'introduzione sul mercato di varie tipologie e denominazioni di "condimento balsamico", definito anche "salsa balsamica" o "salsa di mosto cotto". I condimenti sono prodotti che, pur richiamandosi all'aceto balsamico, non ricadono all'interno dei disciplinari di produzione dei marchi DOP/IGP.
Questa è la famiglia con la maggior variabilità di qualità, ricette ed anche prezzi, in ragione della tecnica produttiva e del marketing correlato. Generalmente i condimenti balsamici possono essere:
• fatti ed invecchiati in modo tradizionale nelle province di Modena e Reggio Emilia, ma al di fuori della supervisione dei consorzi di tutela e dalle procedure di certificazione; quindi dei balsamici tradizionali nella sostanza ma non nella forma, e che generalmente vengono venduti solo sulla base di una forte conoscenza e fiducia da parte del consumatore nella qualità adottata dal produttore;
• prodotti secondo i disciplinari della DOP e dell'IGP, ma non certificabili in quanto prodotti al di fuori delle province di Modena e Reggio Emilia (tuttavia se una parte della lavorazione avviene in esse si ricade nell'IGP) o perché venduti prima dei 12 anni minimi previsti dal disciplinare (e anche in questo caso si tratta di prodotti che se invecchiati almeno 60 giorni possono godere dell'IGP);
• prodotti partendo dal prodotto certificato IGP, ma variamente arricchito e tagliato con prodotto DOP
• aceti di vino arricchiti di mosti cotti ed altri ingredienti per simulare i prodotti balsamici, ma fuori dai criteri previsti dal disciplinare IGP.
Per i condimenti non vi è alcuno standard ufficiale, né marchio di riconoscimento, né regolamentazione del nome, per cui la qualità del prodotto non può essere desunta facilmente dalla sola etichetta. Per tale motivo le caratteristiche qualitative intrinseche possono essere molto differenti fra loro, motivo per cui ricadono sotto questo gruppo prodotti dozzinali come condimenti di elevata qualità.
La Produzione per l aceto balsamico di Modena D.O.P
La procedura necessaria per ottenere l‘Aceto Balsamico Tradizionale di Modena passa attraverso tre fasi fondamentali:
- LA RACCOLTA DELL’UVA
- LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
- L’INVECCHIAMENTO
LA RACCOLTA DELL'UVA
La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.
LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.
L'INVECCHIAMENTO
L’invecchiamento avviene in serie di botticelle (batterie), di legni diversi e di volume decrescente, collocate nei sottotetti delle abitazioni.
Ogni anno, con la particolare tecnica dei travasi, il barile più piccolo della batteria fornisce qualche litro di prodotto mentre la diminuzione dovuta alla concentrazioneviene compensata con l’aggiunta del mosto cotto nel barile più capiente. Solo dopo un adeguato periodo di invecchiamento il prodotto raggiunge quel sorprendente equilibrio di aromi e sapori che gli consente di fregiarsi della Denominazione d’Origine Protetta “ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA”.
Come riconoscere un Buon Aceto Balsamico
Non tutti gli Aceti Balsamici sono di buona qualità.
Ecco di seguito una tabella riassuntiva che elenca le principali caratteristiche del buon aceto balsamico, cliccare sul file per scaricarlo.
CLICCA SUL LINK PER I POST PRECEDENTI
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