COPERTINA

Problema Frode



OGM ed alimenti per Neonati: 
                        il 10% di quelli in vendita hanno OGM






La tecnologia degli alimenti è impiegata anche nelle produzioni di alimenti per neonati. Tuttavia la modernità e le nuove idee produttive possono talvolta nascondere situazioni particolari, è il recente caso sugli OGM riscontarti in cibi per i più piccoli.

La ricerca ha infatti evidenziato che, analizzando i dati relativi al territorio italiano, su 688 campioni analizzati, la percentuale di quelli positivi è stata del 2%. Ma se si osservano solo i prodotti per lattanti, come creme di mais e riso, i campioni sono stati 20 e 2 sono risultati positivi, pari al 10%.

Per quanto riguarda l’analisi regione per regione, spicca il Molise con 10 campionature di cui 2 positive, pari al 20%. Segue l’Emilia Romagna con 58 campioni prelevati di cui 4 positivi, pari al 7%. Tutte le positività riscontrate, comunque, si sono rivelate “sempre inferiori alla soglia di tolleranza dello 0,9% “.

In totale nel 2015 “si conferma che sul mercato italiano sostanzialmente i prodotti alimentari hanno rispettato i requisiti di etichettatura previsti dalla normativa vigente, assicurando una corretta informazione al consumatore “.



Rispetto invece ai cibi d’importazione, i 116 campionamenti effettuati hanno consentito di intercettare 4 partite non conformi per la presenza di riso Ogm non autorizzato proveniente dalla Cina.



Si può concludere che,

Il 2% degli alimenti analizzati nel 2015 contiene, anche se in minima dose, Organismi geneticamente Modificati (Ogm), e paradossalmente la percentuale sale al 10% dei campioni se si prendono in considerazione i prodotti per neonati. Complessivamente “la presenza è limitata ed a concentrazioni estremamente basse “, quindi nella norma.

Ciò emerge dalla Relazione sul Piano nazionale Ogm relativo ai risultati del 2015, appena pubblicato sul sito del Ministero della Salute.


Il numero complessivo dei campioni prelevati nel 2015, provenienti da prodotti trasformati e materie prime principalmente a base di mais, soia e riso, sia coltivati con metodi tradizionali che Bio, è stato di 804, di cui 688 sul territorio e 116 di importazione.

Come sempre Agroalimenti e Dintorni informa di fare particolare attenzione a ciò che si acquista, cercando di evitare il più possibile prodotti ottenuti da produzioni "intensive" e di prediligere un'alimentazione consapevole e conosciuta.



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Un Allevamento come tanti: Il Caso Amadori





Verità  o falsità, , esagerazione o pratica realtà , quanto emerge dalle ultime notizie messe in risalto dal Programma Report della RAI, mostra ancora una volta quanto il sistema alimentare ha troppe falle e molte chiacchiere, falle e chiacchiere che conducono il buon  consumatore ha pagare a caro prezzo questa attitudine.

Per la sensibilità del caso Agroalimenti e Dintorni posta qui un breve abstract della Notizia :

Nella puntata di domenica 29 maggio su RaiTre, la trasmissione Report si è occupata del caso dei batteri resistenti agli antibiotici e degli antibiotici in generale che assumiamo con il cibo: a volte anche senza saperlo, perché utilizzati in grande quantità negli allevamenti intensivi di animali. 

La giornalista durante la trasmissione ha mostrato alcune brutte immagini che provenivano da un allevamento di Amadori in Emilia-Romagna in cui, tra le altre cose, si vede un addetto orinare dentro la struttura proprio vicino agli animali. Amadori è una delle principali aziende italiane nel settore avicolo.

Poche ore dopo la messa in onda, Amadori ha replicato con una nota al servizio televisivo: “L’azienda è sconcertata”, si legge, “per la visione assolutamente parziale e scorretta offerta dalla trasmissione rispetto al suo operato. La redazione di Report è entrata all’interno degli allevamenti illegalmente, senza autorizzazione, ha contattato la nostra azienda solo dopo essere già entrata nella proprietà privata: questa modalità di recupero di documentazione ci è sembrata fortemente scorretta e per questo abbiamo deciso di non rilasciare alcuna intervista”.
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La puntata di Report ha affrontato il tema dell’uso dei “farmaci miscelati nell’acqua”, senza i quali, dice Giannini nel servizio, “non sarebbe possibile mantenere in vita migliaia di animali negli allevamenti”. La giornalista precisa di aver chiesto di poter visitare alcune strutture Amadori, ma senza successo. A segnalare presunte violazioni delle norme su igiene e benessere è stata l’associazione “Essere animali”, grazie alla cui collaborazione sono state recuperate immagini provenienti dall’interno delle strutture. La giornalista nel servizio mette in evidenza come “durante il recupero per il carico notturno verso il macello, gli addetti non usano buone maniere”.

 E continua: “Non sappiamo se questo sia consentito dal regolamento del cosiddetto benessere animale, forse neppure orinare dentro la struttura”. L’allevamento intensivo in Italia riguarda 30 milioni di animali e, secondo i dati rivelati da Report, 1300 tonnellate di antibiotici. “E’ uno dei consumi più elevati d’Europa. Il totale è un giro di affari di 32 miliardi di euro l’anno per la produzione di carne e trasformati, a cui vanno sommati i fatturati delle case farmaceutiche”.


L’azienda Amadori ha replicato punto per punto alle accuse. Innanzitutto viene detto che le immagini sono “vecchie: “Sono state girate”, si legge nella nota, “oltre 6 mesi fa, in una struttura datata compresa all’interno di un piano aziendale di ristrutturazione e che già oggi è completamente ristrutturata. Le riprese hanno in oggetto principalmente un locale isolato rispetto al resto della struttura, destinato al ricovero di animali che hanno manifestato dei problemi, come la legge prevede per ogni allevamento. Sono quindi immagini che non rappresentano in maniera veritiera il nostro sistema d’allevamento”. 

Per quanto riguarda i topi, continua Amadori, si tratta “di un problema che impegna tutti gli allevatori”: “La nostra azienda investe notevoli risorse per mettere in atto piani di derattizzazione concordati e verificati regolarmente dalle ASL”. Sul dipendente filmato mentre fa pipì nell’allevamento si parla invece di “caso isolato”: “Indagheremo e prenderemo provvedimenti rispetto all’episodio non conforme adottato dall’operatore all’interno dell’allevamento e riverificheremo le procedure di controllo messe in atto per evitare il loro accadimento”.

Amadori rivendica, sempre nella nota, anche un piano di investimenti per adeguare gli allevamenti “ai più recenti standard di benessere animale e di biosicurezza”: “Ribadiamo che sono rispettate le normative europee e italiane, e le strutture sono sottoposte a controlli regolari effettuati da veterinari interni ed esterni all’azienda”. 

A proposito degli antibiotici invece, l’azienda ribadisce di usarli solo “a scopo curativo, mai preventivo e solo nei casi in cui sia strettamente necessario, individuati in accordo coi veterinari, secondo i limiti e i vincoli imposti dalla vigente normativa”: “In casi di utilizzo di antibiotico”, spiega ancora Amadori, “gli animali vengono avviati alla macellazione solo dopo il superamento del ‘periodo di sospensione‘, cioè il tempo necessario affinché il farmaco sia smaltito prima che l’animale venga avviato alla macellazione e quindi al consumo”.



L’azienda cita anche a sua difesa i risultati del Piano Nazionale Residui (PNR) del ministero della Salute, “piano di campionamento e analisi effettuato dalle Asl con lo scopo di verificare che i farmaci veterinari siano utilizzati correttamente”, che dice come “nelle produzioni zootecniche italiane non ci sono problematiche rilevanti per quanto riguarda residui di antibiotici pericolosi per l’uomo”. 

Amadori conclude dicendo di essere un’azienda impegnata attivamente nella riduzione degli antibiotici: “Negli ultimi 3 anni ne abbiamo ridotto l’uso nella filiera pollo e tacchino di circa il 50%”.






Storia di Vita Alimentare





La gestione del controllo Qualità all’interno dell’Azienda alimentare è un aspetto estremamente impostante sia sul lato del Business sia sul piano della fidelizzazione del consumatore/cliente.

Di recente è stato pubblicato sul sito Post un articolo che metteva in risalto una questione scottante e particolare che riguardava il detto Pasticcio sui Noodles precotti della Nestlè in India.

Sempre più spesso la Nestlé, una delle più grandi e famose aziende di prodotti alimentari al mondo, è criticata e coinvolta in polemiche e casi giudiziari: negli anni Settanta ci fu il caso degli ingredienti sospetti nel latte in polvere, negli ultimi anni Nestlé è stata accusata di aver impiegato lavoratori minorenni in alcuni paesi africani e di aver venduto cibo per animali domestici contaminato in Venezuela.

Il prodotto della Nestlé a scatenare il problema sono i Noodles, una sorta di spaghetto speziato e pronto da cuocere, molto diffuso in Asia ,  venduti da Nestlé col marchio Maggi. I noodles di Maggi venivano venduti in una confezione gialla divisa in due: da una parte c’erano i noodles e in un pacchetto separato le spezie con cui bollirli, vendute in diverse varietà. 

Prima che Nestlé iniziasse a vendere i Maggi, nel 1983, i Noodles non erano per nulla diffusi in India: Nestlé fu abile a scegliere le spezie venendo incontro ai gusti degli indiani e a metterli in vendita al prezzo molto basso di due rupie (oggi un pacchetto si trova a meno di 10 rupie, cioè circa 10 centesimi di euro). 

Maggi diventò presto un popolare snack per ragazzi – il suo storico slogan pubblicitario è “Mamma, ho fame!” – e negli anni successivi si diffuse sempre di più. Nel 2014 in India erano state consumate 400mila tonnellate di Noodles Maggi, e il marchio era considerato uno dei più affidabili dai consumatori. 

Nello stesso anno Nestlé – che in India ha otto fabbriche – aveva ricavato dalla vendita dei prodotti Maggi circa 400 milioni di dollari, un quarto delle entrate totali ottenute in India.
Un ispettore della commissione, fra i tanti altri prodotti, fece analizzare una confezione di Maggi comprata nel supermercato davanti al suo ufficio.

 I risultati delle analisi arrivarono qualche settimana dopo: fra gli ingredienti di Maggi c’era anche il glutammato monosodico (chiamato anche MSG), un amminoacido presente nel latte e nei formaggi che in passato è stato ritenuto pericoloso, senza però prove scientifiche definitive.

 In India i prodotti che contengono il glutammato monosodico vanno venduti con l’avvertenza che potrebbero essere nocivi per i bambini sotto ai 12 mesi.

Tuttavia non è ancora chiaro il fatto che i laboratori di Nestlé in India, sembrano all’apparenza molto più puliti ed efficienti di quelli pubblici indiani, che Forbes descrive sostanzialmente come più antiquati. Semplicemente Nestlé diceva una cosa, diversi laboratori indiani un’altra. «Molti indiani, compresi esperti del settore, continuano a sospettare che nei Maggi ci fosse effettivamente qualcosa che non andasse. 

Gli stessi esperti ritengono difficile che così tanti test governativi possano essersi sbagliati, e suggeriscono che in una delle fabbriche di Nestlé i prodotti Maggi possano essere venuti a contatto con del piombo contenuto in acqua contaminata, materie prime o vecchie attrezzature (magari con la complicità di qualche operaio distratto)».




Il breve abstract che è stato ripreso dal sito Post, fa ulteriormente soffermarci sul fatto che c’è ancora e sempre molto da fare in tema di Sicurezza e Qualità alimentare e che le procedure a garantire la  tutela dei consumatori, sia a livello nazionale che internazionale sono sempre in tempo ad essere rivisitate.




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 Glifosato: La valutazione Scientifica e Parlamentare


Glifosato


Composto chimico

Il glifosato, o glifosate, in inglese glyphosate, è un analogo aminofosforico della glicina, inibitore dell'enzima 3-fosfoshikimato 1-carbossiviniltransferasi, noto come erbicida totale.

Densità: 1,7 g/cm³




Brevi Cenni

Il glifosato, o glifosate, in inglese glyphosate (N-(fosfonometil)glicina, C3H8NO5P), è un analogo aminofosforico della glicina, inibitore dell'enzima 3-fosfoshikimato 1-carbossiviniltransferasi (EPSP sintasi), noto come erbicida totale (non selettivo). Il composto chimico è divenuto di libera produzione nel 2001, anno in cui è scaduto il relativo brevetto di produzione, fino ad allora appartenuto alla Monsanto Company.


Come agisce



Il glifosato è un diserbante sistemico di post-emergenza non selettivo (fitotossico per tutte le piante). A differenza di altri prodotti, viene assorbito per via fogliare (prodotto sistemico), ma successivamente traslocato in ogni altra posizione della pianta per via prevalentemente floematica

Questo gli conferisce la caratteristica di fondamentale importanza di essere in grado di devitalizzare anche gli organi di conservazione ipogea delle erbe infestanti, come rizomi, fittoni carnosi ecc., che in nessun altro modo potrebbero essere devitalizzati.

L'assorbimento del prodotto avviene in 5-6 ore, e il disseccamento della vegetazione è visibile in genere dopo 10-12 giorni. Il glifosato è un forte chelante, il che significa che immobilizza i micronutrienti critici, rendendoli indisponibili per la pianta. Ne deriva che l'efficienza nutrizionale genetica delle piante ne viene profondamente compromessa.

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Lattualità

Il Glifosato si trova nella pasta nei biscotti nell'acqua e in molti alimenti è una sostanza probabilmente cancerogena: La valutazione Scientifica e Parlamentare

In questi giorni alcuni ricercatori hanno condotto un importante analisi denominata test salvagente ed hanno potuto constatare la presenza del Glifosato in ben 50 alimenti tra cui anche la pasta e l'acqua. Il pesticida usato in agricoltura fino allo scorso anno era sconosciuto a molti ora, invece, è diventato notissimo da quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha incluso tra gli alimenti cancerogeni.

Contro la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa l'EFSA che ha dichiarato che il Glifosato potrebbe nuocere alla salute ma che giornalmente si assumono solo 0,5 mg per kg di peso corporeo.

Sono tantissimi paesi che ritengono che il pesticida debba essere bandito. Il Glifosato e il pesticida più diffuso in tutto il mondo ed è utilizzato dal 1950 in un primo momento il Glifosato era stato ritrovato in alcune birre tedesche poi in alcune svizzere in seguito i ricercatori italiani hanno fatto il test salvagente che ha potuto constatare la presenza anche in altri alimenti come pasta e l'acqua.

Un noto ricercatore ha condotto lo studio sul Glifosato e ha così commentato i risultati del test: "una roulette russa trattino in cui nelle aziende nei consumatori possono stare tranquilli. Per una stessa marca, infatti, sono stati trovati i lotti in cui è stato rintracciato l'erbicida accanto al lotti che non lo contenevano. I residui fortunatamente sempre inferiore ai limiti di legge, testimoniano però una contaminazione diffusa, quasi ubiquitaria".


Il massimo responsabile del di Confindustria del settore dolci e paste italiane, ha preso le difese dei prodotti del nostro paese e dicendo: "evitiamo allarmismi ingiustificati, che rischiano di disorientare tutti, non solo i consumatori, ma anche chi produce alimenti, le quantità rilevate sono così minime che non sarebbe possibile superare i limiti di sicurezza stabiliti dalle autorità sanitarie neppure mangiando 200 kg di cibo al giorno."


Il resoconto Parlamentare UE

Il giudizio delle 38 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica, che stanno portando avanti da mesi la campagna nazionale Stop-Glifosato, sul voto espresso oggi in Europa dall’Assemblea parlamentare. 



“Anche se il Parlamento europeo nella risoluzione approvata ha chiesto il divieto d’ uso dell’erbicida a base di Glifosato in aree verdi, pubbliche e private – quanto detto da Maria Grazia Mammuccini portavoce del tavolo – ha perso però una grande occasione per una svolta chiara verso un’agricoltura più pulita a tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente. Non basta infatti un divieto nei parchi e nei giardini per evitare la contaminazione su larga scala di cibo, acqua, suolo e aria”.

L’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA), formalmente responsabile per la classificazione UE delle sostanze cancerogene, ha avviato nel frattempo una revisione della possibile cancerogenicità, mutagenicità delle cellule germinali e tossicità riproduttiva del Glifosato, ma tale revisione non sarà completata prima della fine del 2017 mentre la decisione sul rinnovo dell’autorizzazione all’uso del Glifosato nei 28 paesi UE dovrà essere presa dalla Commissione entro la fine del prossimo mese di giugno. 

Il Glifosato è l’erbicida più utilizzato al mondo essendo presente in 750 formulati ed è il diserbante maggiormente collegato alle sementi Geneticamente Modificate (OGM) di mais, soia e cotone il cui DNA è stato modificato da Monsanto per resistere a questo diserbante. In Italia negli ultimi anni l’ISPRA ha raccolto dati sulla presenza di oltre 175 pesticidi nelle acque, superficiali e sotterranee. Tra le sostanze che maggiormente hanno superato i limiti di legge ci sono il Glifosato e l’AMPA (un metabolita del Glifosato stesso). 

Persone, piante e animali sono oggi esposte in tanti modi al Glifosato e ai prodotti commerciali che lo contengono.

Oltre che in agricoltura è ampiamente impiegato dagli Enti Pubblici per la pulizia dei margini stradali, delle massicciate ferroviarie e dei binari ed è presente anche in prodotti da giardinaggio e per l’hobbistica. Agricoltori, semplici passanti e altri operatori possono essere esposti a queste sostanze durante le applicazioni, anche in aree pubbliche (scuole e giardini) frequentate da bambini.



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L'altra possibilità di Produrre: Il Cibo Equo e Solidale




In un mondo che si evolve e si muove in un modo così veloce, spesso l'occhio del consumatore è distratto su ciò che può definirsi il "Buon commercio", che, in altri termini, può essere definito anche la "Buona Produzione".

Molto speso infatti cibi e prodotti vari sono preparati in modo "Intensivo" giusto per soddisfare la sete di consumo sfrenato ma al di dietro nascondono una realtà spesso devastante in termini di vite umane, forza lavoro e impatto ambientale. Ecco pechè nasce il Termine Equo e solidale, vediamo insieme di che si tratta e soprattutto come contribuire in questo progetto. La Qualità non è solo il Prodotto ma anche la sua Storia...


 
Il commercio equo e solidale o commercio equo è una forma di commercio internazionale nella quale si cerca di far crescere aziende economicamente sane nei paesi più sviluppati e di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso; in questo senso si contrappone alle pratiche di commercio tradizionale.





 Infatti i produttori agricoli di queste merci formano una miriade di piccole entità, che non hanno alcuna forza contrattuale da opporre ai grossisti locali (e/o internazionali) presso i quali si riforniscono le aziende multinazionali, nel determinare il prezzo della materia prima, consentendo così a questi operatori la determinazione del prezzo, che viene ovviamente tenuto il più basso possibile. Uno dei punti qualificanti del commercio equo e solidale è quello di promuovere cooperative di produttori sufficientemente grandi da potersi confrontare con successo ai grossisti. 


Lo sviluppo del Commercio Equo Solidale va di pari passo con la crescita della coscienza critica del consumatore e con l’aumentata sensibilità ai temi del biologico e della sostenibilità ambientale. Facendo la spesa ci si interroga di più sul peso delle nostre scelte, sui risvolti sociali ed economici che si nascondono dietro a un’etichetta, sull’impatto che il consumo ha nei confronti dell’ambiente che ci circonda.

Così come dopo il consumo ci si preoccupa di riciclare e smaltire i rifiuti, cercando ad esempio di scegliere prodotti con imballaggi biodegradabili, aumentano le preoccupazioni anche sul prima, sulla storia del prodotto e sul percorso che l’ha portato fino al nostro carrello. 

Il marchio Fairtrade da solo riassume e palesa questo percorso, garantendo che non è inciampato in nessuno dei suoi passaggi in forme di sfruttamento del lavoro e dell’ambiente! Tendenzialmente il prezzo finale al consumo dei prodotti equo solidali è un po’ più alto, ma ci può stare viste le premesse e rispetto alla qualità.
Anche il nostro editore CIR Food è attivamente impegnato in questo senso.

Fair Trade è il termine inglese per definire il Commercio Equo Solidale, esprime il superamento della contraddizione esistente tra le idee di commercio e di equità. Contraddizione perché siamo abituati a pensare che, nel mercato, il guadagno delle varie parti coinvolte nel percorso di una merce dal produttore allo scaffale sia costellato di piccoli grandi soprusi, in cui ognuno alza la propria fetta a spese di qualcun altro. Sono le “leggi del mercato” . 

In inglese il termine fair non significa solamente “giusto/equo”, ma viene usato anche per descrivere chi nella competizione gioca pulito. E il Commercio Equo Solidale in effetti fa proprio questo: gioca pulito con tutti i soggetti coinvolti. Resta però un Commercio vero è proprio, non è beneficienza, né un circuito elitario per pochi: punta alla massimizzazione del profitto e a trovare il suo spazio nella grande distribuzione, solo che lo fa lottando contro lo sfruttamento e la povertà legate a cause economiche, politiche o sociali.

I vincoli da osservare per entrare nella rete del Commercio Equo Solidale riguardano entrambe le parti in causa. Alcuni esempi dei vincoli che hanno i produttori sono: il divieto del lavoro minorile, l’impiego di materie prime rinnovabili, l’investimento sul territorio in formazione/scuola, la cooperazione tra produttori, il sostegno alla propria comunità, la creazione dove possibile di un mercato anche interno.

Gli acquirenti si impegnano ad assicurare sbocchi commerciali e prezzi minimi sempre certi che garantiscano ai produttori una vita dignitosa e un margine di investimento nel sociale locale, contratti di lunga durata abbinati se necessario a prefinanziamenti e consulenze sui prodotti e sulle tecniche di produzione. Il quadro delineato è quello di un reciproco impegno, che innesca una spirale virtuosa di crescita.

In Italia il documento-“manifesto” è la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale. Tra i soggetti principali c’è sicuramente Fairtrade Italia, un consorzio senza scopo di lucro che certifica e coordina tutti i prodotti commercializzati a marchio Fairtrade, li diffonde anche nella grande distribuzione e ne garantisce con il suo simbolo origine e caratteristiche. 


Poi Ctm Altromercato, la più grande organizzazione di commercio equo solidale italiana, che comprende 130 associazioni e cooperative, gestendo oltre 350 Botteghe del Mondo. Le Botteghe del Mondo, infine, sono i negozi al dettaglio che distribuiscono i prodotti del commercio equo solidale nelle nostre città.

In Coclusione tutti i prodotti del commercio equo e solidale, che siano prodotti alimentari o prodotti d’artigianato, rispettano i seguenti criteri:


  • Pagamento di un prezzo equo. Il prezzo d’acquisto delle materie prime viene accordato direttamente con il produttore: si tratta di un prezzo che non copre soltanto i costi sostenuti per produrre una determinata materia prima ma che rende possibile una produzione rispettosa dell’ambiente, dei lavoratori e delle comunità.
  • Equità di genere. Il lavoro delle donne non è soggetto a discriminazioni ma è remunerato come il lavoro degli uomini.
  • Migliori condizioni di lavoro. Commercio equo vuol dire garantire condizioni di lavoro dignitose, migliori compensi e un ambiente di lavoro sicuro e salutare.
  • Lotta al lavoro minorile. Le organizzazioni che promuovono il commercio equo rispettano la convenzione ONU sui diritti dell’infanzia così come le leggi e le norme sociali locali: in questo modo assicurano che, nel caso in cui i bambini partecipassero ai processi produttivi, questo avvenga senza che il lavoro metta in pericolo la loro sicurezza e soprattutto nel rispetto del loro bisogno di giocare e del loro diritto ad un’istruzione.
  • Rispetto dell’ambiente. Il commercio equo incoraggia produzioni rispettose dell’ambiente. 
  • Migliori relazioni commerciali. Il commercio equo non cerca di trarre il maggior profitto dagli scambi commerciali gravando sui piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo da cui acquistano le materie prime. Le relazioni che vengono instaurate sono dirette (quindi evitano intermediazioni speculative), durature (consentono ai produttori di programmare le proprie attività) e basate sulla solidarietà, sulla fiducia e sul rispetto reciproco. 
Oggi grazie al Commercio equo e solidale vivono più dignitosamente circa 7 milioni di persone nei paesi del sud del mondo, tra produttori e rispettive famiglie. Tra i prodotti alimentari del commercio equo, che si possono trovare in molti supermercati e nelle botteghe del mondo, ci sono: caffè, miele, cioccolata, muesli, succo d’arancio, banane fresche, tè, spezie.


Le organizzazioni internazionali più importanti che operano in diversi ambiti per promuovere e attuare il Commercio Equo e Solidale sono FLO  - Fair Trade Labelling Organizations, il Coordinamento internazionale dei marchi di garanzia, di cui fa parte anche Fairtrade Italia, News - Network World's Shops, il coordinamento internazionale delle Botteghe del Mondo, Efta  - European Fair Trade Association, Ifat - International Federation of Alternative Trade, coordinamento internazionale tra centrali di importazione e produttori. 

Questi organismi si riconoscono in FINE, sigla informale che sta per Flo, Ifat, News ed Efta. FINE è il tavolo di coordinamento per elaborare strategie comuni per favorire l'accesso al mercato dei piccoli produttori.



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RICONOSCERE UN BUON ACETO BALSAMICO:
                               PROFILO E CARATTERISTICHE



L'aceto balsamico "non tradizionale" viene prodotto nelle provincie di Modena e Reggio Emilia
(i cosiddetti antichi dominii estensi), pur essendo definito dall'IGP unicamente come di Modena.

Viene prodotto generalmente unendo al mosto cotto (non fermentato e acetificato) aceti di vino, ed eventualmente caramello ed addensanti per ottenere una densità ed un sapore similari a quelli del prodotto tradizionale. Generalmente il sapore è caratterizzato da un'acidità vinosa, ossia più aspra e marcata da un punto di vista sensoriale.

 È richiesto un invecchiamento minimo di due mesi, non necessariamente in contenitori di legno, che salgono a tre anni per la dicitura "invecchiato". Visto la possibilità di industrializzazione del processo produttivo, un'azienda di medie dimensioni può arrivare a produrne diverse centinaia di litri al giorno.


Più recente è l'introduzione sul mercato di varie tipologie e denominazioni di "condimento balsamico", definito anche "salsa balsamica" o "salsa di mosto cotto". I condimenti sono prodotti che, pur richiamandosi all'aceto balsamico, non ricadono all'interno dei disciplinari di produzione dei marchi DOP/IGP.

Questa è la famiglia con la maggior variabilità di qualità, ricette ed anche prezzi, in ragione della tecnica produttiva e del marketing correlato. Generalmente i condimenti balsamici possono essere:

•    fatti ed invecchiati in modo tradizionale nelle province di Modena e Reggio Emilia, ma al di fuori della supervisione dei consorzi di tutela e dalle procedure di certificazione; quindi dei balsamici tradizionali nella sostanza ma non nella forma, e che generalmente vengono venduti solo sulla base di una forte conoscenza e fiducia da parte del consumatore nella qualità adottata dal produttore;
•    prodotti secondo i disciplinari della DOP e dell'IGP, ma non certificabili in quanto prodotti al di fuori delle province di Modena e Reggio Emilia (tuttavia se una parte della lavorazione avviene in esse si ricade nell'IGP) o perché venduti prima dei 12 anni minimi previsti dal disciplinare (e anche in questo caso si tratta di prodotti che se invecchiati almeno 60 giorni possono godere dell'IGP);
•    prodotti partendo dal prodotto certificato IGP, ma variamente arricchito e tagliato con prodotto DOP
•    aceti di vino arricchiti di mosti cotti ed altri ingredienti per simulare i prodotti balsamici, ma fuori dai criteri previsti dal disciplinare IGP.


Per i condimenti non vi è alcuno standard ufficiale, né marchio di riconoscimento, né regolamentazione del nome, per cui la qualità del prodotto non può essere desunta facilmente dalla sola etichetta. Per tale motivo le caratteristiche qualitative intrinseche possono essere molto differenti fra loro, motivo per cui ricadono sotto questo gruppo prodotti dozzinali come condimenti di elevata qualità.








La Produzione per l aceto balsamico di Modena D.O.P

La procedura necessaria per ottenere l‘Aceto Balsamico Tradizionale di Modena passa attraverso tre fasi fondamentali:

- LA RACCOLTA DELL’UVA
- LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
- L’INVECCHIAMENTO

LA RACCOLTA DELL'UVA 

La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.

LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO 


La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.

L'INVECCHIAMENTO


L’invecchiamento avviene in serie di botticelle (batterie), di legni diversi e di volume decrescente, collocate nei sottotetti delle abitazioni.
Ogni anno, con la particolare tecnica dei travasi, il barile più piccolo della batteria fornisce qualche litro di prodotto mentre la diminuzione dovuta alla concentrazioneviene compensata con l’aggiunta del mosto cotto nel barile più capiente. Solo dopo un adeguato periodo di invecchiamento il prodotto raggiunge quel sorprendente equilibrio di aromi e sapori che gli consente di fregiarsi della Denominazione d’Origine Protetta “ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA”.

Come riconoscere un Buon Aceto Balsamico



Non tutti gli Aceti Balsamici sono di buona qualità.
Ecco di seguito una tabella riassuntiva che elenca le principali caratteristiche del buon aceto balsamico, cliccare sul file per scaricarlo.




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