COPERTINA

PROBLEMA FRODE


RICONOSCERE UN BUON ACETO BALSAMICO:
                               PROFILO E CARATTERISTICHE



L'aceto balsamico "non tradizionale" viene prodotto nelle provincie di Modena e Reggio Emilia
(i cosiddetti antichi dominii estensi), pur essendo definito dall'IGP unicamente come di Modena.

Viene prodotto generalmente unendo al mosto cotto (non fermentato e acetificato) aceti di vino, ed eventualmente caramello ed addensanti per ottenere una densità ed un sapore similari a quelli del prodotto tradizionale. Generalmente il sapore è caratterizzato da un'acidità vinosa, ossia più aspra e marcata da un punto di vista sensoriale.

 È richiesto un invecchiamento minimo di due mesi, non necessariamente in contenitori di legno, che salgono a tre anni per la dicitura "invecchiato". Visto la possibilità di industrializzazione del processo produttivo, un'azienda di medie dimensioni può arrivare a produrne diverse centinaia di litri al giorno.


Più recente è l'introduzione sul mercato di varie tipologie e denominazioni di "condimento balsamico", definito anche "salsa balsamica" o "salsa di mosto cotto". I condimenti sono prodotti che, pur richiamandosi all'aceto balsamico, non ricadono all'interno dei disciplinari di produzione dei marchi DOP/IGP.

Questa è la famiglia con la maggior variabilità di qualità, ricette ed anche prezzi, in ragione della tecnica produttiva e del marketing correlato. Generalmente i condimenti balsamici possono essere:

•    fatti ed invecchiati in modo tradizionale nelle province di Modena e Reggio Emilia, ma al di fuori della supervisione dei consorzi di tutela e dalle procedure di certificazione; quindi dei balsamici tradizionali nella sostanza ma non nella forma, e che generalmente vengono venduti solo sulla base di una forte conoscenza e fiducia da parte del consumatore nella qualità adottata dal produttore;
•    prodotti secondo i disciplinari della DOP e dell'IGP, ma non certificabili in quanto prodotti al di fuori delle province di Modena e Reggio Emilia (tuttavia se una parte della lavorazione avviene in esse si ricade nell'IGP) o perché venduti prima dei 12 anni minimi previsti dal disciplinare (e anche in questo caso si tratta di prodotti che se invecchiati almeno 60 giorni possono godere dell'IGP);
•    prodotti partendo dal prodotto certificato IGP, ma variamente arricchito e tagliato con prodotto DOP
•    aceti di vino arricchiti di mosti cotti ed altri ingredienti per simulare i prodotti balsamici, ma fuori dai criteri previsti dal disciplinare IGP.


Per i condimenti non vi è alcuno standard ufficiale, né marchio di riconoscimento, né regolamentazione del nome, per cui la qualità del prodotto non può essere desunta facilmente dalla sola etichetta. Per tale motivo le caratteristiche qualitative intrinseche possono essere molto differenti fra loro, motivo per cui ricadono sotto questo gruppo prodotti dozzinali come condimenti di elevata qualità.



 




La Produzione per l aceto balsamico di Modena D.O.P

La procedura necessaria per ottenere l‘Aceto Balsamico Tradizionale di Modena passa attraverso tre fasi fondamentali:

- LA RACCOLTA DELL’UVA
- LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO
- L’INVECCHIAMENTO

LA RACCOLTA DELL'UVA 

La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.

LA PIGIATURA E LA COTTURA DEL MOSTO 


La materia prima per ottenere l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è ottenuta dalle “uve prodotte da vitigni tradizionalmente coltivati nella provincia di Modena” ed in particolare da Lambruschi e Trebbiano.

L'INVECCHIAMENTO


L’invecchiamento avviene in serie di botticelle (batterie), di legni diversi e di volume decrescente, collocate nei sottotetti delle abitazioni.
Ogni anno, con la particolare tecnica dei travasi, il barile più piccolo della batteria fornisce qualche litro di prodotto mentre la diminuzione dovuta alla concentrazioneviene compensata con l’aggiunta del mosto cotto nel barile più capiente. Solo dopo un adeguato periodo di invecchiamento il prodotto raggiunge quel sorprendente equilibrio di aromi e sapori che gli consente di fregiarsi della Denominazione d’Origine Protetta “ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA”.

Come riconoscere un Buon Aceto Balsamico



Non tutti gli Aceti Balsamici sono di buona qualità.
Ecco di seguito una tabella riassuntiva che elenca le principali caratteristiche del buon aceto balsamico, cliccare sul file per scaricarlo.



https://drive.google.com/file/d/0B2ILAB2EUm-gU0M5TndRcG80d00/view?usp=sharing
PROFILI ACETO BALSAMICO















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E 150- A-B-C-D: Cosa c'è dietro una Sigla



Il caramello, prodotto ben noto in cucina e soprattutto in pasticceria, è un prodotto alimentare dagli svariati usi, ma osservandolo da un pinto di vista diverso ed interessante lo riscontriamo anche come conservante e colorante.

Come conservante e colorante; c’è da dire che è poco utilizzato a scopo preservativo (dove lo sciroppo la fa da padrone), mentre molto utilizzato per dare la colorazione agli alimenti e per questo rientra tra gli ingredienti detti additivi, di maggior utilizzo nel settore alimentare (sigla E150). Conferisce, ad esempio, la tipica colorazione delle bevande tipo cola.

L’uso da colorante
E150 a  Caramello Semplice o Grezzo _____________

Il caramello semplice o grezzo, detto in Sigla E 150 a ,  è un colorante di colore bruno ottenuto dallo zucchero liquido (saccarosio  o glucosio) con l'aggiunta di carbonato di sodio.
Può essere contenuto in prodotti da forno, biscotti, pane, essenze di caffè, budini, liquori, bibite, gelati, ghiaccioli, conserve.

Attualmente non si conoscono effetti collaterali negativi circa l'impiego di caramello semplice come additivo alimentare.

E150 b Caramello Solfito Caustico ________________

Il caramello solfito caustico è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
Può essere contenuto in bevande alcoliche, confetture, bibite, gelati, ghiaccioli, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.

Attualmente non si conoscono effetti collaterali negativi.

DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.

E150 c CARAMELLO AMMONIACALE___________

Il caramello Ammoniacale è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
È contenuto in zuppe, salse, gelati, ghiaccioli, bevande a base di vino, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.

Il caramello ammoniacale, se consumato entro le dosi raccomandate, è considerato un colorante non nocivo.

DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.


E150d CARAMELLO SOLFITO AMMONIACALE_______


Il caramello solfito ammoniacale è un colorante di colore bruno, di origine sintetica.
Può essere contenuto in zuppe, salse, gelati, ghiaccioli, bevande a base di vino, liquori, pasticceria in genere, biscotti e conserve.

Il caramello solfito ammoniacale, se consumato entro le dosi raccomandate, è considerato un colorante non nocivo.

DOSE ADI: 200 mg per Kg di peso corporeo.


L’imputazione della Pericolosità

Gli E 150 sotto accusa sono sostanzialmente quelli sintetici per 2 motivi:


1.    Sono presenti in molti prodotti
2.    Sono prevalentemente sintetici

Presenti in molte bibite, soprattutto in quelle che cadono sotto il nome di Cole al Chinotto, ma anche nelle caramelle, in alcuni aceti balsamici e nella salsa di soia. Insomma in moltissimi alimenti che hanno bisogno di un'iniezione di colore marrone scuro.

Si parla del colorante Caramello Solfito-Ammoniacale, con sigla E150 d, che secondo uno studio recente reso pubblico sul Lancet Oncology, è un possibile cancerogeno.

La ragione è un sottoprodotto del caramello E150 d, il 4-MEI (4metilimidazolo), residuo non voluto del processo di produzione dei caramelli a base di ammoniaca. La ricerca è stata condotta dallo Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms, che ha classificato il 4-MEI tra le 249 sostanze potenzialmente cancerogene per l'uomo, cioè nel cosiddetto gruppo 2B.

Un po’ di più sul MEI

Il 4-metilimidazolo (4-MEI) è un composto organico eterociclico. Deriva dall'imidazolo per
Il 4-metilimidazolo può formarsi nella doratura di alcuni alimenti mediante la reazione di Maillard tra carboidrati e composti contenenti gruppi amminici. In particolare, si trova in alimenti arrostiti o torrefatti, e in prodotti colorati con caramello prodotto tramite un procedimento all'ammoniaca. Può anche derivare da processi fermentativi.

Dallo studio si evince un ulteriore dato importante e cioè che: 


4-Metilimidazolo
La popolazione è esposta al 4-methylimidazole attraverso la sua presenza nei caramelli di classe III e IV - si legge nell'articolo del Lancet - che sono coloranti ampiamente utilizzati, in particolare nelle bibite. Il 4-methylimidazole è stato testato riguardo alla carcinogenicità in topi e ratti e ha causato l'aumento dell'incidenza dei carcinomi degli alveoli e dei bronchi nei topi maschi e femmina, e della leucemia nei topi femmina. Tuttavia, il meccanismo di carcinogenesi non è stato ancora chiarito.

Le indagini sono state svolte su prodotti in commercio e utilizzati dall’Efsa ed emerge che tutta una serie di prodotti largamente consumati dai bambini, come bibite gassate, gelati, prodotti da forno, dessert, possono contenere 5 g di questo colorante per kg di prodotto.

Nelle caramelle si raggiungono concentrazioni di 300 g per kg di prodotto. Ci vuol poco, dunque, a superare la dose giornaliera ammissibile e questo vale a maggior ragione per i più piccoli che hanno un peso corporeo inferiore: "Così un bambino di 3 anni che pesa 15 kg non dovrebbe ingerire più di 4.5 g di colorante caramello al giorno. Per il caramello E150d questa dose si raggiunge ad esempio con il consumo quotidiano di una lattina di bibita (1.5 g di caramello in 330 ml) e 10 g di caramelle (3 g di caramello). E' chiaro che un eventuale rischio per la salute è legato a un uso regolare e non saltuario di alimenti che contengono queste sostanze".

Gli effetti indesiderati semplici
Oltre al potere canceroso degli E 150 sintetici in particolar modo gli E 150 d e E150 c, si sono saggiate le problematiche legate ad un consumo continuo e grande di quei prodotti che presentano tali coloranti.


Dai test si è evinto che a forti concentrazioni possono scatenarsi effetti nocivi come casi di ipersensibilità, allergia ed effetti sull’equilibrio ormonale, crampi, inappetenza, problemi gastrointestinali, leucopenia o riduzione dei globuli bianchi, leucemia  fino a casi più gravi tumori dell'apparato respiratorio (gli studi sono stati condotti su topi e ratti).

Mentre non sono emersi effetti nocivi con l'E150a (caramello semplice o puro) e l'E150 b (caramello solfito-caustico).


Sì può concludere che: i coloranti naturali estratti attraverso solventi non nocivi devono avere la precedenza nelle filiere produttive soprattutto quando i prodotti sono destinati ad una popolazione sensibile quali bambini, anziani, persone biochimicamente ipersensibili.
Inoltre bisognerebbe evitare di utilizzare sostanze non naturali e quindi sintetiche che se da una parte portano un beneficio tecnologico, dall’altra portano uno svantaggio salutistico.

Il consumatore legga l’etichetta ed eviti o moderi il consumo di prodotti con coloranti sintetici quali E150 c, E150d e i sintetici in genere.


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La percezione sensoriale



L’uomo conosce ed entra in rapporto con tutto ciò che lo circonda attraverso gli organi di senso che gli permettono di percepire la realtà.

Nella vita quotidiana la Qualità della percezione sensoriale diventa fondamentale per lo svolgimento di molte azioni, uno tra le tante è quella legata alla Scelta e al saper scegliere in campo di prodotti alimentari.

 Il corretto apprendimento e la corretta evoluzione dell’imparare la tecnica, esalta con il tempo queste prestazioni. Per questo è fondamentale allenare anche gli analizzatori senso-percettivi, quegli organi cioè che ci permettono di percepire ciò che avviene attorno a noi.

 La percezione sensoriale ha diverse forme. Quelle che sono maggiormente coinvolte nel quotidiano è di origine esterocettiva, tramite i telerecettori (esorecettori) e propriocettiva (endocettori).

In senso pratico imparare a sviluppare ed esercitare i propri elementi sensoriali, aiuta il consumatore a poter adottare una scelta migliore e più consapevole, evitando in questo modo, raggiri, frodi, truffe e soprattutto danni a lungo e breve tempo sulla persona.

Agroalimenti e dintorni ha da sempre, ed è nato per questo, il compito o mission di formare il consumatore verso una scelta sensata e più giusta, senza utilizzare eliminazioni o mettendo in risalto certi aspetti anziché altri ma valutando il complesso insieme e nel corso degli anni a stretto contatto con migliaia di lettori abbiamo notato che sempre più persone vorrebbero saper scegliere ma non hanno gli strumenti per farlo.

Dall’altro lato vi è l’analisi sensoriale aziendale dove il team di lavoro specializzato, selezionato ed addestrato deve dare un profilo specifico al prodotto in target. Per esempio i prodotti da forno rappresentano uno dei cibi basilari dell’alimentazione, diffusi nella maggior parte delle diete a livello mondiale, sono parte integrante dell’alimentazione mediterranea, riconosciuta dall’UNESCO come un modello di alimentazione sana ed equilibrata.

 La percezione sensoriale gioca qui un ruolo fondamentale nel determinare le preferenze dei consumatori; uno strumento fondamentale  per andare in contro alle loro esigenze è rappresentato dall’analisi sensoriale la quale si avvale di tecniche scientifiche per valutare la qualità sensoriale dei prodotti, così come percepita dagli organi di senso, identificando fattori fondamentali sia per lo sviluppo di nuovi prodotti, che possano soddisfare i gusti e le aspettative dei consumatori, sia per la valorizzazione di prodotti tradizionali regionali.


Anche il consumatore, tuttavia, deve imparare a scegliere il prodotto di buona qualità, vediamo dunque quali sono le basi fondamentali per un’adeguata valutazione.
Per Stimolo si intende qualsiasi attivatore chimico o fisico in grado di causare una risposta in un recettore, ogni stimolo produce delle sensazioni all'uomo.


I cinque sensi 

  Visiva (vedi leggi della percezione visiva), esterocettiva;
  Tattile (barocettori della pianta del piede), esterocettiva;
  Acustica, esterocettiva;
  Vestibolare (canali semicircolari), propriocettiva;
  Cinestesica (meccanocettori, quali i fusi neuromuscolari, i corpuscoli del Pacini e gli organi del Golgi nei tendini), propriocettiva.

La Vista è in grado di captare le reazioni luminose, è uno dei cinque sensi; precisamente, è quello mediante il quale è possibile percepire gli stimoli luminosi e, quindi, la figura, il colore, le misure e la posizione degli oggetti. Tale percezione avviene per mezzo degli occhi. Questi organi sono contenuti nelle orbite oculari, due cavità del cranio ai lati della radice del naso, disposte simmetricamente rispetto alla linea mediana del corpo.

In un individuo c’è da ricordare che esiste una soglia assoluta di percezione detta SP che indica la quantità minima di energia necessaria per suscitare una sensazione, mentre la soglia di riconoscimento SR è la quantità minima di energia necessaria per suscitare una sensazione ben definita e riconosciuta.

Per determinare l'SP e l’SR bisogna determinare la purezza dello stimolo lo stato fisiologico e il grado di concentrazione del soggetto.
Qui è dunque importante esercitarsi da consumatori, come accade per gli assaggiatori esperti, cioè selezionare qui prodotti certificati come di buona qualità dal ministero della salute, sui siti di certificazione riconosciuti e dalle rispettive camere di commercio e esercitare il palato alla degustazione per poi fare un paragone al momento dell’acquisto.

Il gusto

L’organo è lingua grazie alle papille i recettori sono posti all'interno di membrane cellulari chiamate gemme gustative sono rimaste all'interno delle papille.

Ecco una breve carrellata delle più importanti sensazioni da gusto:

L’Umami è la sensazione stimolata dalla glutammato monosodico (ne approfondiremo in seguito)
Il carattere di astringente è legato alla sensazione di secchezza, talvolta denota un fattore positivo, da riscontrare.
Il senso di metallico è il pizzicore alla lingua stimolato da alcuni dolcificanti
Tuttavia quando ci si abitua a percepire con estrema frequenza un prodotto si cade nell’assuefazione cioè nell’adattamento,
L’adattamento determina la diminuzione della risposta sensoriale quando lo stimolo è costante, questo fattore è un problema per il pannellista esperto.
La miscelazione, più gusti possono creare delle interazioni che possono falsare o sfumare il senso e dare quindi delle false risposte.

Olfatto 

I recettori sono posti in alto nell' epitelio della cavità nasale le sostanze, aromatiche vengono assorbite dal naso per poi reagire con i recettori.
La maggior parte delle molecole aromatiche sono solubili in acqua la soglia di percezione data da loro coefficiente di solubilità e dalla loro volatilità.

Esistono 2 ruoli:
Olfatto esterno: l’odore dell'alimento che proviene dall’esterno
Olfatto retronasale: E’ il riconoscimento dei gusti durante la masticazione

Con Anosmia si intende la perdita completa dell'olfatto, per anosmia specifica si intende invece la perdita della percezione di soltanto alcuni composti.

Vista

È il risultato di una serie di fenomeni in rapida successione, si collega poi alla simulazione dei recettori della retina e messaggio al cervello e poi all’elaborazione al cervello dei dati immagine forma dimensioni colori tutti vengono metabolizzati dalla vista e dal cervello

Tatto

I recettori tattili si trovano sul su guance labbra palato lingua molto sensibili fino a 20-25 micron la possibilità di riconoscimento è dato anche dalla temperatura che con il freddo diminuisce.


Udito

 La masticazione e la deglutizione sono collegate all'orecchio e completano la percezione l'orecchio interno medio ed esterno e orecchio interno ci sono dei recettori che percepiscono gli stimoli.

Conosciute ora le componenti di base della percezione possiamo dire che da uno studio svolto sui consumatori e la loro scelta i principali fattori che determinano le scelte alimentari sono:
  • Fattori biologici come stimolo della fame, appetito e gusto
  • Fattori economici come costo, reddito e disponibilità
  • Fattori fisici come accesso, istruzione, capacità (ad esempio, saper cucinare) e tempo
  • Fattori sociali come cultura, famiglia, altre persone e modalità dei pasti
  • Fattori psicologici come umore, stress e senso di colpa
  • Atteggiamenti, convinzioni e conoscenze sugli alimenti
La complessità delle scelte alimentari si evince da questo elenco, che peraltro non è esaustivo. I suddetti fattori dipendono anche dalla fase della vita di una persona e la loro forza varierà da un individuo o un gruppo di persone all'altro. Di conseguenza, non è detto che un tipo di intervento finalizzato a modificare il comportamento alla base delle scelte alimentari sia adatto a tutti i gruppi della popolazione. Al contrario, gli interventi vanno personalizzati per i diversi gruppi, tenendo in considerazione i numerosi fattori che influenzano le decisioni specifiche in fatto di scelte alimentari.

In generale, gli errori più comuni che comportano errori da parte dei consumatori nella scelta di cibi sono:

1.      Le influenze sociali
2.      Le influenze culturali
3.      Il contesto sociale
4.      L’istruzione e la conoscenza
5.      I costi e le possibilità economiche
6.      Gli stimoli
7.      La modalità dei pasti
8.      Lo stress
9.      L’umore
10.  I disturbi alimentari(veri)
11.  Atteggiamenti e convinzioni


Ne valutiamo solo 3:

Stress
Lo stress è una caratteristica comune della vita moderna e può modificare i comportamenti che riguardano la salute, come l'attività fisica, il fumo o le scelte alimentari.

L'influenza dello stress sulle scelte alimentari è complessa, soprattutto se si considerano i diversi tipi di stress a cui può essere soggetta una persona. L'effetto dello stress sul consumo alimentare dipende dall'individuo, dalla causa e dalle circostanze. In generale, quando le persone si sentono stressate, rispetto al solito alcune mangiano di più e altre di meno.

In ambito di comportamenti e scelte alimentari, i meccanismi suggeriti alla base dei cambiamenti determinati dallo stress includono differenze motivazionali (minore preoccupazione nei confronti del controllo del peso), cambiamenti psicologici (minore appetito a causa dei processi associati allo stress) e cambiamenti pratici che riguardano le opportunità in cui si consumano alimenti, la disponibilità del cibo e la preparazione dei pasti.

Gli studi suggeriscono anche che se lo stress da lavoro è prolungato o frequente, potrebbero verificarsi cambiamenti negativi sulla dieta, incrementando la possibilità di aumento di peso e, di conseguenza, di rischio cardiovascolare.

Umore
Ippocrate è stato il primo a suggerire il potere curativo del cibo, tuttavia è solo a partire dal medioevo che lo si considera come uno strumento per modificare temperamento e umore. Oggi si riconosce l'influenza del cibo sull'umore e il fatto che quest'ultimo condizioni le nostre scelte alimentari.

È interessante notare che l'influenza del cibo sull'umore sembra essere in parte correlata agli atteggiamenti nei confronti di particolari alimenti. Il rapporto ambivalente con il cibo, ovvero il desiderio di gustarlo ma la consapevolezza che comporta un aumento di peso, è un contrasto vissuto da molti. Persone a dieta, individui che si impongono particolari restrizioni e alcune donne segnalano di sentirsi in colpa perché ritengono di non mangiare quello che dovrebbero. Inoltre, il tentativo di limitare l'assunzione di particolari cibi può aumentare il desiderio nei loro confronti, portando a impulsi irresistibili o "voglie".

Questi impulsi sembrano essere più comuni tra le donne rispetto agli uomini e la loro intensità pare particolarmente influenzata dall'umore triste. L'incidenza delle voglie alimentari sembra essere più comune nella fase premestruale, un periodo in cui aumenta l'assunzione di cibo e parallelamente si modifica il metabolismo basale.

Di conseguenza, umore e stress possono influenzare il comportamento alla base delle scelte alimentari e forse anche le risposte a breve e lungo termine all'intervento sulla dieta alimentare.


Contesto sociale 
Le influenze sociali sul consumo di cibo riguardano l'impatto che una o più persone hanno sul comportamento alimentare delle altre, sia direttamente (acquistare cibo), sia indirettamente (imparare dal comportamento degli altri), a livello conscio (trasferimento di convinzioni) o inconscio. Anche quando si mangia da soli, le scelte alimentari sono influenzate da fattori sociali, poiché atteggiamenti e abitudini si sviluppano tramite l'interazione con gli altri. Tuttavia, quantificare le influenze sociali sull'assunzione di alimenti è difficile, perché le influenze che le persone hanno sul comportamento alimentare degli altri non sono limitate a un solo tipo e perché le persone non sono necessariamente consapevoli delle influenze sociali esercitate sul loro comportamento alimentare.

Il supporto sociale può avere un effetto benefico sulle scelte alimentare e su un cambiamento salutare della dieta. Il supporto sociale della famiglia e dei colleghi è stato positivamente associato agli aumenti nel consumo di frutta e verdura e alla fase preliminare del miglioramento delle abitudini alimentari, rispettivamente. Il supporto sociale può migliorare la promozione della salute favorendo un senso di appartenenza al gruppo e aiutando le persone a essere maggiormente competenti e ad avere più fiducia nei propri mezzi.


In conclusione, è importante conoscere i propri standard e quelli oggettivi certificati per saper scegliere un prodotto di qualità, Agroalimenti e Dintorni darà nel corso del tempo tutte le informazioni su come saper scegliere sempre al meglio.

















Novel Food _____________________



Aspetti Introduttivi

Per novel food si intende quell’alimento o ingrediente nuovo. In questo caso il concetto  di “Nuovo” è stato introdotto, per differenziare questi ultimi dai prodotti consumati in modo significativo e regolare prima del Regolamento CE 258 del 1997. Tali alimenti quindi non sono nuovi per tutti consumatori a livello mondiale, infatti tale diversificazione è stata operata allo scopo di fornire una maggiore protezione ai cittadini europei.

Considerando infatti la questione OGM si è ravvisata la necessità che i nuovi alimenti dovessero essere valutati sulla base della loro sicurezza prima di essere consumati al fine di evitare possibili effetti negativi sulla salute.

Il Novel Food immetterebbe quindi una maggiore attenzione sull’introduzione di nuovi cibi in uno specifico Paese.

Infatti cibi nuovi in un Paese potrebbero essere di consumo tradizionale in altri, pertanto la domanda inoltrata dal richiedente nel proprio Stato passerà da una commissione attraverso le commissioni degli Stati membri con tutte le informazioni utili a dimostrare la rispondenza ai criteri stabiliti nonché l'etichettatura del prodotto.

Se una valutazione scientifica basata su un’analisi appropriata dei dati esistenti dimostra che le caratteristiche del prodotto sono diverse rispetto a quelle di un alimento o ingrediente convenzionale. In questo caso l’etichettatura deve fare menzione di queste caratteristiche riportando:

•    indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che possono avere ripercussioni sulla salute;
•    indicazioni della presenza di sostanze non presenti in un alimento o ingrediente equivalente esistente e che hanno ripercussioni di ordine etico;
•    indicazioni della presenza di organismi geneticamente modificati.


In conclusione, soltanto gli alimenti che superano questa articolata prassi vengono immessi sul mercato.


Gli aggiornamenti al Parlamento Europeo

A tal fine il dibattito avvenuto il 16 Ottobre e con il conseguente voto il 27 ottobre 2015, al Parlamento Europeo si rinnoverà il testo che regolamenta l'introduzione e la vendita dei  Novel food in Europa.


 Il Regolamento non viene aggiornato dal 1997, in effetti un periodo lunghissimo se si pensa a come consumi, abitudini e tecnologia alimentari mutano velocemente, aiutati in primis dalla velocità dei trasporti e delle comunicazioni on line.


Seguendo gli aggiornamenti: qualsiasi cibo, ma anche tecnica di produzione o trattamento o tecnologia in campo alimentare, come per esempio la pastorizzazione ad alta pressione dei succhi di frutta o ingredienti nanomateriali ed eventuali miglioramenti tecnologici, che influiscano su proprietà nutrizionali e che non erano diffusi o conosciuti nel 1997 sarebbero da considerarsi Novel food e che dalla data di aggiornamento dell’incontro di questo Ottobre seguiranno un trattamento regolamentativo nuovo.

Anche integratori e flavonoidi, apparentemente innocui, sono sottoposti all'approvazione prima di essere diffusi in Europa

La Regolamentazione attuale è molto macchinosa e rallenta l'approvazione del Novel food. Il nuovo testo è un passo nuovo per le Aziende alimentari e ciò dovrebbe favorire l'innovazione in campo alimentare, aiutare anche le piccole Aziende e lo start up grazie ad una semplificazione di ciò che viene approvato, tutelare la sicurezza alimentare e aumentare la trasparenza per il consumatore.

L'Efsa (European Food Safety Authority) è composta da un panel scienziati e ricercatori indipendenti internazionali, e d'ora in poi comprenderà anche esperti in tossicologia. In particolare si occupa di valutare se è un alimento è rischioso o no per la salute, mentre la Commissione ne gestisce l'approvazione e l'eventuale rischio che questa approvazione comporta.


Da ciò ogni produttore può far dare al proprio prodotto l’approvazione che è gratuita. Se un prodotto non viene approvato però è perché gli esperti hanno trovato il suo consumo rischioso per la salute, quindi non è possibile ricorrere. Si può comunque richiedere un incontro in cui vengono approfondite le motivazioni della risposta negativa.




L’Iter

Allo stato attuale, quindi è semplicemente in corso l’iter per l’approvazione di un nuovo regolamento in materia di Novel food con l’ottica di snellire e semplificare il sistema attuale.

La proposta di regolamento attualmente in discussione prevede:

1.    Di affidare direttamente all’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) la valutazione di sicurezza;
2.    Di definire i criteri da seguire per determinare se un prodotto sia o meno da considerare un novel food;
3.    Di adottare di decisioni di autorizzazione valide per l’intero settore industriale (con la possibilità di adottare decisioni “nominative” in via transitoria a tutela degli investimenti in ricerca e sviluppo nel caso di prodotti innovativi);
4.    Di introdurre una procedura semplificata per l’autorizzazione di prodotti con storia di consumo sicuro nel Paese di provenienza e l’abolizione della procedura di attestazione della sostanziale equivalenza;
5.    Di facilitare, grazie a queste procedure semplificate, l’accesso al sistema per le piccole e medie imprese.


Mentre dall’altra parte, eccovi uno schema generale che spiega in elenco, quali tipologie di Novel food sono da notificare per la finalità di monitoraggio:

•    Alimenti autorizzati per l'aggiunta di Fitosteroli come da decisioni autorizzative della Commissione Europea
•    Alimenti addizionati di Licopene come da decisioni autorizzative della Commissione Europea





Gli Insetti sono considerati cibo tradizionale in altri Paesi, potranno essere immessi di default, come qualsiasi alimento analogo, anche sui nostri mercati.

 Altrimenti, le aziende che vorranno introdurre insetti diversi come ingredienti nei loro prodotti o come alimento a se stante sottoporranno la richiesta. Questo avverrà anche in caso di cibi derivanti da funghi o alghe.

 Le alghe sono un altro importante tema: per ora la loro produzione ha costi troppo elevati, ma lo studio delle proteine e degli acidi grassi presenti in esse potrebbe portare a migliorare in futuro la qualità di vita. Anche gli insetti, con il loro alto valore proteico e il basso costo di produzione, potrebbero essere una delle soluzioni alla malnutrizione.



OGM

Gli OGM non seguono la regolamentazione Novel Food ma una regolamentazione a parte. Con il fallimento avvenuto nel 2013 della discussione, e dell'accordo, sui Novel food è attribuibile anche alla presenza del tema della Clonazione, che stavolta è stato scorporato.

Nonostante questo alcuni temi della nuova regolamentazione, come quello dei nano-materiali, sono comunque molto dibattuti. Gli effetti di ingredienti nano-materiali nelle preparazioni alimentari sono tuttora in fase di studio e addirittura in questo campo è più avanti la tecnologia di produzione che quella della valutazione del rischio.

Attualmente la soglia di tolleranza, ovvero la quantità minima di nano-ingredienti per definire un nano-food, è del 50%, mentre la Commissione vorrebbe ridurla al 10%. Di fatto stiamo già assumendo alimenti con ingredienti nano-materiali, come Silica, Titanium dioxide, Zinc Oxide, Copper, Carbon Nanotubes, che potrebbero essere dannosi per la salute. L'introduzione sul mercato di carne prodotta in vitro per ora è fuori discussione, visto anche i prezzi altissimi per la sua produzione.

In Europa i cibi geneticamente modificati (Ogm) devono essere approvati e segnalati in etichetta, mentre non è legale il commercio di carne clonata. Non c'è invece una regolamentazione chiara sulla vendita e consumo di animali discendenti da capi clonati.

Tuttavia, l’immissione su mercati diversi di cibi nuovi o lontani dalla propria tradizione può in un certo qual modo scatenare nel consumatore una reazione di disgusto e disappunto che è legata all’aspetto emotivo. Il Regolamento, come la discussione di questi giorni è basato anche su questo. Per cercare un rimedio a tale problema team di assaggiatori valuterà la situazione.


Cosa mangeremo nel Futuro? La domanda legata a cibi particolari come gli insetti o quant’altro, è dunque ancora aperta e si sdoppia ancora tra Leggi, Regolamenti ed aspetto Emotivo-Culturale di ogni consumatore.


PER APPROFONDIRE:

1. Ministero della Salute

2. Novel Food - European commission

3. Reg. CE 258/1997



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L'archeologia dei Coloranti Animali negli Alimenti


Quasi come un archeologo , il consumatore oggi deve scavare le informazioni racchiuse nelle tante voci inserite in etichetta e nel prodotto stesso; come un archeologo deve cercare di carpirne i segreti che spesso non sono chiaramente esplicitati e da solo fare luce su ciò che sta acquistando.



E’ ben noto che gli additivi alimentari sono sostanze deliberatamente aggiunte ai prodotti alimentari per svolgere determinate funzioni tecnologiche, ad esempio per colorare, dolcificare o conservare. Nell’Unione europea (UE) tutti gli additivi alimentari sono identificati da un numero preceduto dalla lettera E. Gli additivi alimentari vengono sempre menzionati nell’elenco di ingredienti degli alimenti in cui sono presenti. 

Le etichette dei prodotti devono riportare sia la funzione dell’additivo nell’alimento finito (ad esempio, colorante, conservante) sia la sostanza specifica usata, utilizzando il riferimento al relativo numero E o alla sua denominazione (ad esempio, E 415 o gomma di xantano).
 Gli additivi che figurano più comunemente sulle etichette alimentari sono gli antiossidanti (per prevenire il deterioramento da ossidazione), i coloranti, gli emulsionanti, gli stabilizzanti, gli agenti gelificanti, gli addensanti, i conservanti e i dolcificanti.

Tuttavia il mondo degli additivi è sempre in continua evoluzione ed incremento in quanto danno al prodotto soprattutto industriale il “valore aggiunto” al prodotto finito, ma spesso i consumatori non sanno o non sono informati della provenienza di tali sostanze. Agroalimenti e Dintorni, grazie a delle sollecitazioni ne fa una veloce una veloce ma pratica rassegna.

Chi è vegetariano o vegano, sa sicuramente quanto è importante leggere le etichette dei prodotti che acquistano, ed in particolare per i prodotti alimentari e per i prodotti di cosmesi e di igiene personale che entrano a contatto diretto con la nostra pelle. Specialmente verso quei prodotti che sembrano sicuri, ma che in realtà nascondono brutte sorprese che ci colgono di sorpresa.

Per il consumatore infatti insiedie e brutte sorprese possono arrivare leggendo si, casualmente l’elenco degli ingredienti sull’etichetta ma soprattutto approfondendo l’origine di tali ingredienti, poiché, tra i coloranti alimentari usati per il sidro,ad esempio, figura anche la cocciniglia. Dunque, non solo il sidro non è un alimento vegano, e neppure vegetariano, poiché la cocciniglia è un animale che viene allevato e ucciso per il suo colore. Si tratta quindi di colorante alimentare animale.

Rimanendo nel generale la Cocciniglia è un colorante ricavato da alcuni parassiti delle piante (da non confondere con la comune coccinella), appartenente alla famiglia delle coccoidee, ed in particolare le femmine della specie Dactylopius, Dactylopius coccus (che vedete nella foto qui a lato… potete pensare di riuscire a berlo o mangiarlo?) e della specie Kermes vermilio.

L’ insetto è scelto per la colorazione di alimenti, di fibre e di altri materiali (come i colori per pitture di vario tipo) perché secerne un liquido molto denso e dal colore arancione/rosso intenso, che utilizza nel suo involucro esterno per proteggersi dai predatori. Proprio questa colorazione brillante è ciò che l’uomo “estrae” dall’animale, naturalmente uccidendolo in massa: basti pensare che per produrre un chilogrammo di colorante servono 100.000 insetti.
Per ottenere il colorante, si macina il carapace degli insetti (di solito li si uccide essiccandoli) per ottenerne una polvere, che poi viene trattata con acqua calda per estrarne l’acido carminico, la molecola colorata.


La cocciniglia viene purtroppo utilizzata per la produzione della maggior parte dei coloranti rossi nell’industria alimentare (si tratta del colorante E 120), e in misura minore per la tintura dei vestiti. Nell’archivio di Trashfood sono riportati diversi alimenti che contengono la E 120.
 Tra gli alimenti più comuni consumati forse inconsapevolmente dai vegetariani (non parliamo dei salumi e gli hamburger industriali, che lo contengono per dare una colorazione maggiormente appetitosa alla carne), la cocciniglia si trova in prodotti per bambini come il Fruttolo, nel Campari (ecco da dove viene il suo colore rosso profondo), mentre la Lindt lo usa nei cioccolatini Lindt Passion.

I lati negativi d’utilizzo di questo insetto sono, non solo l’eliminazione in massa dell’animale ma inoltre c’è da ricordare che questo tipo di colorazione e la sua produzione è abbastanza costosa, e può causare allergie nei soggetti predisposti.
 Un altro uso della cocciniglia è quella dell’alchemes, un liquore dal colore cremisi ottenuto da femmine di cocciniglia fecondate e poi essiccate in appositi allevamenti, diffusi in tutto il Messico, ma anche altrove.

Dunque se a prima vista, sembrerebbe facile scegliere un’alimento “teoricamente” sicuro, tuttavia mille insidie si possono nascondere in moltissimi alimenti che ogni giorno appaiono ai nostri occhi.Non è infatti facile evitare nella propria dieta prodotti di origine animale. Dopo tutto, carne, latticini, uova, pesce, ecc..non hanno bisogno di presentazioni. Ma in realtà è invece molto più difficile di quanto sembri! Infatti, non solo i prodotti di origine animale ma anche i sottoprodotti di questi possono essere riscontrati negli alimenti. Ingredienti di origine animale possono nascondersi proprio in quei cibi e bevande di cui non sospetteremmo mai.

Il Carminio è il sottoprodotto di quanto bbiamo detto prima della Cocciniglia, quindi un colorante naturale rosso estratto dal corpo disseccato dell’insetto cocciniglia del carminio (Dactylopius Coccus). Questo si può trovare facilmente in bevande alla fruttasalseciliegie candite in barattolo, ma è spesso anche usato nei cosmetici o addirittura nelle pitture ad olio o negli acquarelli per colorare.
Solitamente quando viene utilizzato come additivo alimentare, il carminio deve essere inserito negli ingredienti presenti nell’etichetta sulla confezione. 

In realtà l’allevamento di questi insetti, al fine dell’estrazione del colorante, risale al Messico di ben 400 anni fa, ed oggi, secondo una relazione del Wall Street Journal, gli insetti sono allevati in alcune aziende del Perù, del Messico e delle Isole Canarie, dove si nutrono di cactus. La polvere colorata è estratta e filtrata dai corpi riscaldati ed essiccati dell’insetto femmina. Ci vogliono 70.000 coleotteri per fare un chilo di carminio buono sul mercato.
Questo colorante non è solo un pericolo per chi ha deciso di seguire un alimentazione vegan, piuttosto lo è per la salute di chiunque altro, in quanto le allergie che ne derivano posso essere molto gravi.

La Caseina è una proteina che si trova principalmente nel latte fresco. E’ utilizzata spesso come legante in molti alimenti ad esempio nel pane, nei cereali trasformati, nelle zuppe istantanee, nella margarina, nei condimenti per l’insalata nei dolci e in molti preparati per torte. Ma si può trovare anche in alcuni farmaci e per rendere le cose più difficili anche in alcuni prodotti etichettati “senza lattosio”, in quanto questa indicazione non sempre significa “senza latte”. Ma la difficoltà non è solo per chi ha scelto una dieta vegan, piuttosto lo è anche per chi è allergico, come nel caso del carminio, alla caseina. Infatti questo prodotto di origine animale deve essere espressamente indicato nell’etichetta, ed è uno dei buoni motivi per leggere attentamente le etichette.

 

La colla di Pesce si ottiene dalla vescica natatoria dello storione ed è spesso usata per schiarire vini (in particolare quelli bianchi) e birre. Sarebbe arrivato proprio il caso di lasciare ai pesci le loro vesciche e stare più attenti nel momento in cui si acquista una bottiglia di vino. Meglio preferire sempre un buon bicchiere di vino di buona fattura. E per chi ha voglia di dissetarsi con una “bella bionda” anche qui la scelta non manca.





Per molti di noi, spesso, un dovere quotidiano è proprio quello di assumere ogni mattina delle vitamine: sostanze nutritive importantissime che però sono molte volte racchiuse in un piccolo cappuccio di “gel”, un piccolo tappo fatto appunto di Gelatina

Una definizione generica di gelatina potrebbe essere questa: incolore, agente addensante che viene utilizzata spesso per dare corpo ai dolci. Questo addensante che solitamente viene utilizzato nell’industria farmaceutica ed alimentare è appunto di origine animale, ed è preparato partendo dalla denaturazione termica del collagene, isolato dalla pelle e dalle ossa degli animali. Ma può anche essere estratto dalla pelle del pesce.
Possiamo trovare la gelatina non solo nelle caramelle o sopra le vitaminemedicinali in genere ma anche molto spesso nello yogurt e nei cereali.
Dunque molta attenzione! Un ottimo sostitutivo della gelatina e assolutamente naturale è l’agar agar conosciuto anche come "kanten".


Il Siero è una delle ragioni per cui molti vegetariani esitano ad intraprendere la via verso il veganismo, è proprio il formaggio. Più in particolare, non vogliono smettere di mangiare il formaggio e gli orrori sono meno evidenti con i prodotti lattiero-caseari rispetto a quelli con la carne.
Ma forse però ci si dimentica del caglio e della sua provenienza. Infatti il caglio di origine animale è estratto dai vitelli o ovicaprini non svezzati, ed è utilizzato proprio per la produzione del formaggio. A peggiorare le cose, circa l'80 e il 90% di formaggi in commercio prodotti negli Stati Uniti e in Inghilterra contengono caglio a base di OGM.


Un sottoprodotto della produzione del formaggio, il Siero è la parte liquida del latte che si separa dalla cagliata durante la caseificazione. Il siero è spesso utilizzato come additivo in alcuni prodotti alimentari e di pasticceria, e come cibo per animali. Il siero, essendo un’ottima fonte di proteine, è la base di bevande proteiche degli atleti e di tutti coloro che desiderano costruire o riparare i propri tessuti muscolari. E’ inoltre un importante complemento per chi ha una mobilità limitata agli arti, in quanto contribuisce alla prevenzione di atrofia delle cellule muscolari. Essendo un prodotto di origine animale è indiscutibilmente fuori di una dieta vegan, ma essendo una superlativa fonte di proteine molti vegetariani soprattutto sportivi lo ricercano come ingrediente. 

Ma dove si trova nascosto il siero? Anche nei cereali in scatola, nel pane ed infine nel muesli.


In conclusione, per riconoscere ed evitare prodotti finti vegan è importante saper leggere l’etichetta e quando ciò non basta mantenersi informati ed aggiornati sui prodotti alimentari in commercio, bisogna dunque sapere che:

    

 


           Lo zucchero bianco che per esser così bianco subisce durante il suo processo di decolorazione una manipolazione con il bone char (ossia un materiale prodotto dalla carbonizzazione delle ossa animali) o ancora un'altro caso è dato dalla maggior parte delle fantastiche caramelle rosse in commercio o ancora di alcuni vini o di alcuni succhi rossi, tutti prodotti colorati

         I coloranti alimentare prendendo molto spesso il nome enigmatico di "E120" o di "E124".

     Estrema attenzione ai prodotti rinforzati ed arricchiti come succhi d'arancia rinforzati o integrati con omega-3 i quali infatti contengono amminoacidi estratti da grasso (olio) di pesce o ancora prodotti rinforzati con vitamina D (in genere D3) derivanti invece dalla lanolina ossia un'olio derivato dalla lana delle pecore, tutt'altro che vegan naturalmente.


     Panini, brioches e prodotti da forno possono essere preparati usando l'enzima L-cisteina come condizionante della pasta in panini e molti altri prodotti trasformati da forno, che di solito proviene da piume d'anatra e di pollo.

       Non soffermarsi solo sugl’ingredienti citati sulla confezione ma approfondire la loro provenienza ed ottenimento.

        Ridurre il consumo di prodotti industriali.

La lista degli additivi è certamente lunga ma, qui si è voluto elencare la presenza dei più comuni, in quanto se questi ultimi sono presenti è sicuramente certo o aumenta la probabilità che altri additivi meno noti sono presenti anch’essi nella preparazione dell’alimento considerato.




Anisakis: Un parassita da Prodotto Ittico





Gli Anisakis sono dei nematodi patogeni per l'uomo, responsabili d'infezioni note come "anisakidosi" o "anisakiasi". Le malattie veicolate dagli Anisakis vengono contratte dopo l'ingestione di pesce crudo o poco cotto contaminato dal parassita. Il genere Anisakis comprende alcune specie di parassiti che popolano abitualmente l'apparato digerente di certi pesci, molluschi e mammiferi marini.

Sono visibili ad occhio nudo e misurano dagli 1 ai 3 cm, vanno dal colore bianco al rosato, sono sottili e tendono a presentarsi arrotolati su loro stessi.


Il parassita si trova, allo stadio adulto, nell'addome dei mammiferi marini (balene, foche, delfini), più precisamente nello stomaco, e sono visibili a occhio nudo. Nei pesci sono presenti all'interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove assumono una colorazione biancastra.

Le specie di anisakis svolgono il loro ciclo biologico in ambiente marino.


 Le uova sono rilasciate in acqua attraverso le feci dei mammiferi marini e si sviluppano vari stadi larvali. Dopo la schiusa vengono ingeriti dai primi ospiti intermedi, di solito i piccoli crostacei che costituiscono il krill. Il krill a sua volta viene ingerito dal secondo ospite intermedio, o paratenico (cioè in cui il parassita non può svilupparsi e crescere), che è il pesce. 


A questo punto si sviluppa l'ultimo stadio larvale che può passare direttamente al suo ospite definitivo (mammiferi marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi accidentalmente in un altro ospite, definito per questo accidentale (nel quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo), che può essere l'uomo se quest'ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che contenga al suo interno la larva di Anisakis.

Le larve di anisakis sono un rischio per la salute umana in due modi:

  • Parassitosi causata da ingestione di pesci crudi contenenti le larve;
  • Reazione allergica ai prodotti chimici liberati dalle larve nei pesci ospiti.

Molti prodotti ittici possono essere interessati dall'infestazione da anisakis e, tra questi, quelli più a rischio sono pesce sciabola, lampuga, pesce spada, tonno, sardine, aringhe, acciughe, nasello, merluzzo, rana pescatrice e sgombro, o più generalmente il pesce azzurro.



Dei 5 generi, 4 causano malattie nell'uomo e in altri animali:

  1. Anisakis, tra cui Anisakis simplex e Anisakis physeteris
  2. Pseudoterranova
  3. Contracaecum
  4. Phocascaris

Tra questi, i nematodi appartenenti al genere Anisakis sono probabilmente i più frequenti parassiti trasmessi dai prodotti ittici all'uomo.

L'Anisakis presenta tutte le caratteristiche tipiche dei nematodi: il corpo è cilindrico e vermiforme, a sezione circolare, che ben si differenzia da quello dei platelminti (vermi piatti).




LA MALATTIA


L'anisakidosi o anisakiasi è un'infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata dall'ingestione di prodotti ittici crudi o non sufficientemente cotti contenenti le larve di Anisakis simplex. Il primo caso di infestazione umana da parte di un membro della Famiglia delle Anisakidae è stato descritto nei Paesi Bassi negli anni sessanta.



È riportata un'alta prevalenza di parassitosi nei paesi dove il pesce viene consumato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale, soprattutto in Scandinavia (dal fegato di merluzzo), in Giappone (dal consumo di sushi e sashimi), nei Paesi Bassi (dalle aringhe in salamoia, le cosiddette maatjesharing) e nella costa del Pacifico del Sud America (dall'insalata di mare nota come ceviche). Negli Stati Uniti sono descritti meno di dieci casi all'anno.

 Lo sviluppo di migliori strumenti diagnostici e la maggior consapevolezza della malattia hanno portato a un aumento della frequenza di casi di anisakiasi. I casi stimati nel mondo sono 20.000 ogni anno.

Dopo l'ingestione larve vitali possono essere espulse nelle 48 ore successive, oppure possono penetrare immediatamente nella mucosa gastrica causando un dolore addominale violento, correlato a nausea e vomito, talvolta delle stesse larve.


Qualora queste riescano a passare nell'intestino, si può manifestare un'importante risposta immunitaria eosinofila e granulomatosa, generalmente una o due settimane dopo l'infezione, con una clinica del tutto simile a quella della malattia di Crohn, con dolore addominale intermittente, nausea, diarrea e febbre. È anche possibile che si manifesti un'emergenza medica come la perforazione intestinale.






METODI CONTRO L’ANISAKIS


L'efficacia del congelamento del pesce crudo nel prevenire l'anisakiasi dipende sia dalla temperatura cui è portato il pezzo, sia dalla durata del trattamento. Vari studi, condotti negli anni novanta e duemila indicano che il mantenimento dell'intero stock di pesce in tutte le sue parti a una temperatura inferiore a -18 °C per almeno 96 ore, sia necessario a determinare la morte delle larve dei nematodi. È tuttavia ritenuto opportuno far seguire al trattamento termico la conservazione del pesce nel medesimo stato di congelamento.


Tuttavia, tra i congelatori domestici, solo quelli a tre o quattro stelle sono in grado di raggiungere tale temperatura, mentre quelli a una o due stelle raggiungono rispettivamente una temperatura non sufficiente di -6 e -12 °C.


Anche nei trattamenti ad alta temperatura, l'efficacia nella prevenzione dell'insorgenza dell'anikasiasi dipende dalla durata e dalla temperatura. In particolare, l'EFSA suggerisce che si deve portare la parte più interna del pesce ad una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto. Tuttavia, come è facile intuire, per ottenere questo risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e ad una temperatura maggiore. Per un filetto di 3 cm è necessaria una cottura di almeno dieci minuti per raggiungere tale scopo.




PREVENZIONE



L'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda che l'eviscerazione, la cottura, il congelamento ad almeno -23 °C per una settimana, avvengano il più presto possibile.

Nei paesi dell'Unione europea la normativa CE 853/2004 approvata dal parlamento europeo raccomanda il congelamento dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore e prevede l'ispezione a campione dei prodotti ittici, l'eventuale identificazione del parassita e la conseguente rimozione dal mercato dei prodotti pesantemente contaminati. Inoltre, tale normativa prescrive per i ristoratori l'obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai quantitativi di prodotto che si intendono trattare.


Negli Stati Uniti la FDA raccomanda il congelamento ad almeno -35 °C per quindici ore ad almeno -20 °C per una settimana, mentre CDC raccomanda la cottura dei prodotti ittici ad almeno 63 °C o il congelamento ad almeno -20 °C per una settimana, oppure ad almeno -35 °C fino alla solidificazione con immagazzinamento a -35 °C per 15 ore o a -20 °C per 24 ore.








PIL e TTIP: Accordi e Disaccordi







Secondo il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti l’obiettivo è di far interagire  due mercati comportando la  riduzione dei dazi doganali e rimuovendo in una vasta gamma di settori le barriere non tariffarie, cioè le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, standard da applicare ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie. Ciò renderebbe possibile la libera circolazione delle merci, faciliterebbe il flusso degli investimenti e l'accesso ai rispettivi mercati dei servizi e degli appalti pubblici.


E’ tuttavia un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato dal 2013 tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America e qualsiasi soggetto economico privato, se espropriato dei suoi attuali investimenti, avrebbe diritto a compensazioni a valore di mercato, aumentate di interesse composto. Sarà ammessa la libera circolazione dei lavoratori in tutte le nazioni firmatarie, ed è stato proposta l'ammissibilità, per i soggetti economici privati, di muovere azioni legali contro i governi in presenza di violazione dei diritti.



A conti fatti ci sarebbero delle eventuali conseguenze a tale tipo di rapporto ed è quello che hanno posto coloro che non la pensano come chi sostiene il rapporto: ad esempio, la campagna Stop Ttip Italia (di cui fanno parte decine di associazioni, sindacati, reti agricole) si appoggia a studi opposti, come quello della Tufts University del Massachussets, secondo cui ci sarà una perdita di 600mila posti di lavoro e un calo del reddito procapite tra i 165 e gli oltre 5mila euro in tutta Europa. Anche il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz sostiene che l’accordo “potrebbe rivelarsi molto negativo per l’Europa”, rischiando di approfondirne la recessione e garantendo “campo libero a imprese protagoniste di attività economiche nocive per l’ambiente e la salute”. 

Il TTIP porterebbe grandi rivoluzioni in quanto si acconsentirebbe di vendere in paesi riceventi i prodotti provenienti da altri ma ottenuti con leggi e regole del paese produttore. Oggi ad esempio molte leggi firmate e legali in altri paesi circa l’ottenimento di un prodotto alimentare non sarebbero legali in Italia e così via. Si avrebbe così la vendita in Italia di pollo igienizzato con il cloro, carne piena di antibiotici oppure “Gorgonzola” che, in realtà, viene dall’Illinois, inoltre si potranno importare in Italia prodotti ottenuti con molteplici sostanze chimiche ora illegali ma che non lo saranno più.

 Ciò comporterebbe due problemi: il primo e sicuramente il più importante è quello legato alla salute dei consumatori e il secondo di carattere economico, infatti ciò causerebbe un ulteriore danno alle imprese locali che operano nel prodotto tradizionale-tipico e probabilmente sulla spesa pubblica circa il sistema sanitario.

I vantaggi, per i consumatori, possono essere: più scelta di prodotti e servizi, prezzi più bassi, una maggiore cooperazione tra le agenzie di allerta rapido e tracciabilità di prodotti alimentari e non, di cui entrambi i Paesi avrebbero bisogno. Ad esempio, armonizzare le norme Ue agli standard Usa per l’immissione in commercio di dispositivi medici (valvole cardiache e protesi varie), inoltre potrebbe portare a un miglioramento per il Vecchio Continente, dove i controlli sulla sicurezza di questi prodotti sono relativamente carenti.


 Insomma, se ci fosse un negoziato che punta ad armonizzare le regole verso il meglio ne avremmo tutti da guadagnare. Ma, nell’eventualità che ciò non accada, i rischi per i consumatori europei sono troppi: si lascerà che le piccole e medie imprese italiane vengano fagocitate dalle grandi multinazionali americane che sbarcheranno in Europa, si lascerà che le 1.328 sostanze chimiche vietate nei prodotti e nei cosmetici europei perché considerate nocive (contro le 11 proibite negli Usa) abbiano accesso al nostro mercato per fare un piacere alle imprese degli States, si lascerà che i nostri severi standard sulla protezione dei dati e sulla privacy facciano spazio alle regolamentazioni molto più blande a stelle e strisce. In tante cose siamo diversi.

 È chiaro che le forti lobby delle imprese americane stanno già premendo e premeranno ancora per non doversi adeguare a normative più stringenti, la nostra impressione è che, a causa della crisi, pur di aumentare punti di PIL e di chiudere le trattative al più presto, l’Europa possa essere disposta ad accettare qualsiasi accordo. I nostri politici e le nostre aziende si aspettano moltissimo dal Ttip e per ottenere, in queste situazioni - si sa - bisogna cedere.

IL CIBO SICURO E’ alla base di una società sana equilibrata e con diritti.
Il principio di precauzione. Conseguentemente alla “mucca pazza” l’Europa si è dotata di un sistema legislativo piuttosto rigido sulla sicurezza alimentare: se c’è un rischio molto elevato che un prodotto possa far male, le autorità possono intervenire in attesa di accertamenti scientifici; negli States, invece, vige il principio praticamente opposto, per cui alimenti e procedure sono sicuri fino a prova scientifica contraria. È impensabile che, nel negoziato, il principio di precauzione possa essere scalfito.

Severità sulla filiera. In Europa la sicurezza alimentare deve essere garantita lungo tutta la filiera produttiva, “from farm to fork” (dai campi alla tavola), con prerequisiti igienici dei produttori, tracciabilità del prodotto ecc.; il sistema Usa, invece, verifica per lo più la sicurezza del prodotto finito (ecco perché i trattamenti di decontaminazione chimica delle carni, come la Clorina, sono così diffusi). Un cambio di approccio non sarebbe ammissibile. 

Meno potere alle imprese. Anche le procedure di controllo sono diverse: le autorità americane si fidano molto delle aziende, che possono autodichiarare la sicurezza dei prodotti informandone la Fda (Food and Drug Administration, l’autorità americana per la sicurezza alimentare e dei farmaci), che non ha alcun obbligo di rivedere la loro valutazione. In Europa, invece, i prodotti regolamentati (ad esempio gli Ogm) vengono autorizzati solo dopo i controlli dell’autorità competente, l’Efsa (European Food Safety Authority) e dopo l’approvazione della Commissione Ue, del Parlamento e dei singoli Paesi membri. 

No agli ormoni nella carne. In Europa è proibito somministrare ormoni al bestiame per farlo crescere di più, perché mancano sufficienti studi circa la loro sicurezza. Negli Usa invece è ammesso l’uso di queste sostanze che riducono i tempi di allevamento e quindi fruttano moltissimo alle industrie. Il nostro divieto si applica naturalmente anche alle importazioni: nonostante le insistenti richieste degli Usa, la carne americana che si vende da noi, è solo quella che rispetta i nostri standard. Esigiamo che continui ad essere così. 


Meno antibiotici. Negli allevamenti americani gli antibiotici possono essere usati in dosi maggiori, anche per far crescere di più gli animali. In Europa i limiti sono più restrittivi e questi farmaci possono essere usati solo per proteggere il bestiame dalle malattie. Il problema legato agli antibiotici comunque sussiste: quello che sta succedendo è che usandone sempre di più negli allevamenti, i batteri diventano sempre più resistenti e questa resistenza può trasferirsi anche agli antibiotici usati per gli uomini, che perdono il loro effetto (25mila morti all’anno in Europa e 23mila negli Stati Uniti per problemi legati alla resistenza dei batteri). 

Da tempo chiediamo all’Ue ancora più severità, figuriamoci se potremmo mai accettare una deregolamentazione per far entrare più carne americana. 
 
Ancora una volta la Qualità non è un fattore aggiuntivo alla vita e non è un qualcosa da usare semplicemente per dare pubblicità, per creare una filiera marketing o perché è semplicemente obbligata e quindi da sbrigare velocemente senza credere in quello che si sta facendo. La qualità è il biglietto da visita di un paese, è quello che non lo confonde tra gli altri paesi al mondo ed è quello che ne determina la supremazia decisionale interna.



Agroalimenti e Dintorni 
con la collaborazione di Velia Mingione








Meglio un uovo e un pollo oggi che del manzo e dei latticini domani! Ecco perché






La carne nei nostri piatti è uno dei più grandi nemici del clima, ormai lo sappiamo. Questo non significa che dobbiamo adottare una dieta veg per salvare il Pianeta? La riposta è no per la Chalmers University of Technology, secondo la quale basterebbe mangiare carne di pollo invece che di manzo. Sarebbe persino meglio di un vegetariano che consuma molti latticini.

"L'allevamento del bestiame è già responsabile del 15 per cento dei gas serra che gli esseri umani provocano. La dieta a cui siamo abituati nei paesi ricchi non è coerente con i nostri obiettivi climatici", afferma il ricercatore David Chalmers Bryngelsson, che ha recentemente presentato la sua tesi di dottorato su uso del suolo, emissioni di gas serra legati all'alimentazione e cambiamento climatico.
 
Tra le altre cose, ha indagato sui vari scenari futuri per determinare come il clima sarebbe influenzato se gli esseri umani cambiassero la loro dieta. La sua ricerca dimostra è possibile continuare a mangiare proteine animali e dare lo stesso un importante contributo al clima, ma bisogna sostituire il manzo con pollame e uova, riducendo il consumo di latte e formaggi.
 
Secondo i suoi calcoli, le persone che seguono una dieta estremamente ricca di proteine derivate dal pollo possono dare un maggiore contributo all'ambiente dei vegetariani che consumano grande quantità di prodotti lattiero-caseari. Questo ovviamente senza considerare le obiezioni etiche legati all'industria del pollo. Si potrebbe dire, per semplificare, che il pollo è come un'auto elettrica. Non è una bicicletta, ma i un'alternativa migliore e molto simile a quello che siamo abituati a fare oggi. 

Ma chi mangia carne può stare davvero tranquillo? Lo studio non considera, ad esempio, l'uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti. Secondo l'Oms l'antibiotico resistenza, ovvero la capacità di un batterio di resistere ai farmaci antibiotici, provoca solo in Europa 25 mila morti l'anno.
E intanto anche il comitato consultivo che si occupa di formulare linee guida dietetiche e nutrizionali, braccio del Dipartimento federale della Sanità e Servizi Umani degli Stati Uniti, ha raccomandato per la prima volta di eliminare la carne e i latticini dalla dieta, perché la loro produzione sta danneggiando il pianeta. Le raccomandazioni del comitato aiutano il governo federale a formulare le quantità giornaliere raccomandate di nutrienti, calorie e grassi. Il governo rilascerà i suoi nuovi orientamenti entro la fine dell'anno.





Ecco un abstract del documento, per visualizzarlo completo segui il link:





Land-use competition and agricultural greenhouse gas emis-
sions in a climate change mitigation perspective

DAVID
BRYNGELSSON
 
Department of Energy and Environment, Chalmers University of Technology

Abstract

Productive land for food production, bioenergy, or preservation of nature is a
limited resource. Climate change mitigation puts additional pressure on land
via higher demand for bioenergy to replace fossil fuels and via restrictions on
deforestation—two processes that limit the availability of land for food produc-
tion, and may thus also raise food prices. Methane and nitrous oxide emis-
sions from agriculture may also need to be reduced to efficiently mitigate climate
change. This thesis deals with this in three ways.
In papers I–II, we estimate greenhouse gas emissions from food production
for current diets and expected future developments, together with alternative di-
etary developments and potential technical improvements in the agricultural sec-
tor. Costs and possibilities for reaching climate goals are analyzed for the differ-
ent diets. The results indicate that a phase out of ruminant products would cut
mitigation cost in half, for staying below a 2



C limit, and it may be necessary if the climate sensitivity is high.
In papers III–IV, a conceptual and transparent partial equilibrium model of
global land-use competition is developed, analyzed and applied. The model is
to a large degree analytically explored and price differentials between crops are
derived. The model is subjected to a detailed characterization of its mechanisms
and parameters that are critical to the results. We conclude that the total amount
of productive agricultural area and bioenergy yields are of crucial importance to
the price impacts from large-scale introduction of bioenergy. We also show how
limiting bioenergy production to marginal land could be difficult to implement in
practice.

In paper V, we use two established indicators for poverty and sensitivity to
food-price changes to capture peoples’ vulnerability to rising food-prices in four
Sub-Sahara African countries/regions. In contrast to previous studies, we include
all food products instead of just one or a few main staples. We found that the vast
majority of people are net consumers of food and that the inclusion of more than
main staples increases their net position as consumers and thus vulnerability to
high food prices.

Keywords:
Land use competition, GHG emissions, Diets, Food consumption,
Bioenergy, Partial equilibrium model, Climate change, Integrated assessment
model, Mitigation, Livestock










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L'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, in sigla FAO, è un'agenzia specializzata delle Nazioni Unite con il mandato di aiutare ad accrescere i livelli di nutrizione, aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica mondiale. La FAO lavora al servizio dei suoi paesi membri per ridurre la fame cronica e sviluppare in tutto il mondo i settori dell'alimentazione e dell’agricoltura.

Fondata il 16 ottobre 1945 a Québec del Canada, dal 1951 la sua sede è stata trasferita da Washington a Roma presso il Palazzo FAO. Da novembre 2007 ne sono membri 191 paesi più l'Unione europea.

Oggi, con le innumerevoli produzioni industriali è sempre più vivo ed importante capire e conoscere la provenienza di ciò che è dato al consumatore, ciò, non solo per un fattore strategico legato al produttore ma anche per un fattore qualitativo, poiché è ovvio pensare che la provenienza e il metodo di ottenimento della materia prima influisce sul prodotto alimentare e quindi sulla salute di chi lo mangia. L’articolo di oggi ci permette di chiarire un argomento molto delicato, perché poco conosciuto e poco trattato: l’etichettatura del pescato,

 con le indicazioni di provenienza e tracciabilità, grazie alle zone di pesca FAO, che, espresse in numeri, indicano Oceani, Mari e porzioni degli stessi.

La necessità è data dal tutelare chi lavora bene e creare una fitta rete di tracciabilità per garantire un prodotto più sicuro. La Fao ha suddiviso tutte le aree marine del pianeta in ZONE di pescat ciò adibite alla pesca, le quali sono controllate e gestite.

Eccovi qui allora proposto l’elenco completo delle aree:





Area 18 (Arctic Sea)(Oceano artico)
Area 21 (Atlantic, Northwest)(Zona Nord Ovest dell’Atlantico)
Area 27 (Atlantic, Northeast)(Zona Nord Est dell’Atlantico)
Area 31 ( Atlantic, Western Central)(Centro Ovest dell’Atlantico)
Area 34 (Atlantic, Eastern Central) (Centro Est dell’Atlantico)
Area 37 (Mediterranean and Black Sea)(Mar Mediterraneo e Mar Nero)
Area 41 (Atlantic, Southwest) (Zona Sud Ovest dell’Atlantico)
Area 47 (Atlantic, Southeast) (Zona Sud Est dell’Atlantico)
Area 48 (Atlantic, Antarctic) (Atlantico e Antartico)
Area 51 ( Indian Ocean, Western) (Oceano Indiano zona Ovest)
Area 57 (Indian Ocean, Eastern) (Oceano Indiano zona Est)
Area 58 (Indian Ocean, Antarctic and Southern)(Oceano Indiano, Antartico e zona Sud)
Area 61 (Pacific, Northwest)(Pacifico Nord-Ovest)
Area 67 (Pacific, Northeast)(Pacifico Nord-Est)
Area 71 (Pacific, Western Central)(Pacifico Centro-Ovest)
Area 77 (Pacific, Eastern Central) (Pacifico Centro-Est)
Area 81 (Pacific, Southwest) (Pacifico Sud Ovest)
Area 87 (Pacific, Southeast) (Pacifico Sud Est)
Area 88 (Pacific, Antarctic) (Pacifico, Antartico)







AD esempio la pesca del tonno a pinne gialle viene effettuata nell'area FAO 71 (Pacifico Occidentale Centrale - antistante Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Australia del nord) caratterizzata da calde acque tropicali. Il tonno a pinne gialle non è presente nell'area FAO 61 (Oceano Pacifico del Nord Ovest - antistante il Giappone) per via delle temperature troppo basse dell'acqua.

Per garantire la tracciabilità di un prodotto ittico, molte sono le informazioni richieste e da documentare: il nome della nave e le date di pesca, la specie, il metodo di pesca, la zona FAO di provenienza del pescato e altre ancora.

Per comprendere al meglio l’importanza della suddivisione in Zone Fao alleghiamo un Abstract del manuale che spiega la gestione della pesca in Italia:


La programmazione nazionale e le misure di gestione





Il sistema di gestione della pesca in Italia è basato su sistemi di regolazione dello sforzo di pesca; le caratteristiche fisiche del Mediterraneo e le peculiarità della pesca hanno influito nella definizione del regime gestionale adottato. La piattaforma continentale è generalmente molto ristretta, la pesca è svolta da battelli di dimensioni limitate che operano in prossimità della costa e dei numerosi punti di sbarco, utilizzando una moltitudine di sistemi e tecniche di pesca. Le pesche sono multi specie e, in molti casi, le uscite in mare sono limitate a poche ore. Altro elemento caratterizzante la pesca è rappresentato dallartigianalità della struttura produttiva; il 70% del naviglio è costituito da imbarcazioni con una lunghezza fuori tutta inferiore ai 12 metri; tale flotta si caratterizza per unelevata multi specifici degli attrezzi da pesca utilizzati, che varia in funzione della stagione, della specie target o delle condizioni climatiche. Considerate tali specificità, a partire dagli anni ottanta il regime di regolazione dello sforzo di pesca è stato considerato il più appropriato per la gestione della pesca in ambito mediterraneo; la stessa FAO, nel 1993, esaminati i diversi tipi di misure gestionali, concludeva che misure basate sul controllo delloutput, quali le quote totali ammissibili, non erano appropriate al Mediterraneo considerata limportanza della flotta artigianale e la natura multi specifica della pesca (FAO, 1999). La restrizione della capacità di pesca rientra tra le misure dellinput che incidono direttamente sulla dimensione dello sforzo di pesca dato che, come è noto, questa variabile permette di individuare il reale impatto che lattività di pesca esercita sugli stock ittici. Per quanto lo sforzo di pesca sia un insieme alquanto eterogeneo di input, esso può sempre essere ricondotto a quattro componenti principali: il numero delle unità produttive;   la capacità potenziale media di ciascuna imbarcazione, espressa generalmente in base alle caratteristiche dimensionali, alla tipologia di attrezzi impiegati, al numero dei componenti lequipaggio, ecc.;   lintensità media delle operazioni di pesca per unità di tempo, che misura la frazione di capacità potenziale media effettivamente utilizzata; • il tempo medio trascorso in mare. A questi fattori andrebbe inoltre aggiunta labilità o lesperienza dei pescatori. Si tratta, tuttavia, di una variabile difficilmente misurabile e che, per tale ragione, viene normalmente trascurata (Charles, 2001). Le misure di controllo dellinput incidono, dunque, sulle componenti principali dello sforzo di pesca e, pertanto, esse includono:   le restrizioni allaccesso alla zona di pesca (attraverso la limitazione delle licenze o dei permessi di pesca); •  le restrizioni alla attività di pesca, cioè alla quantità di tempo che i battelli possono impiegare nellesercizio delle attività di pesca (come le quote individuali di sforzo e le giornate di pesca);   le restrizioni alla capacità di pesca, cioè alla dimensione dei battelli e alla potenza motrice e agli attrezzi.

508 Sezione terza - Capitolo 10 - La programmazione nazionale e le misure di gestione

La gestione dello sforzo di pesca a livello nazionale è stata attuata tramite limplementazione di un sistema basato sulle licenze di pesca e sul controllo della capacità di pesca. Le licenze di pesca sono state introdotte in Italia nel 1982 con lapprovazione della legge n. 41; è stato stabilito il principio che solo chi è in possesso di regolare licenza di pesca è abilitato allo sfruttamento delle risorse ittiche. Lobiettivo associato con lintroduzione delle licenze, o dei permessi, va individuato nella duplice esigenza di limitare uneccessiva espansione dello sforzo di pesca e/o prevenire uneccessiva sovracapitalizzazione della flotta in una determinata area di pesca. Nel caso in cui la pesca è svolta in modo omogeneo e non è possibile distinguere fra aree diverse, particolari periodi dellanno o singoli stock, la licenza costituisce titolo essenziale per laccesso allo sfruttamento delle risorse e per la continuità stessa dellattività produttiva. Il rilascio della licenza soddisfa due ordini di esigenze; la prima di tipo amministrativo e anagrafico, nel senso che attraverso la licenza lautorità di gestione è in grado di acquisire un certo numero di informazioni sulla flotta. La seconda è di tipo gestionale, dato che una volta che la struttura della flotta da pesca è nota, è possibile adottare misure di gestione appropriate in funzione delle caratteristiche dei diversi segmenti della flotta e del loro specifico impatto sulle risorse.

L’importanza è dunque rintracciabile, monitorare, gestire e tutelare la Pesca nel mondo.




Infine Vi proponiamo una cartina delle zone pesca FAO dettagliata e ad alta definizione.









       LA MALA PRODUZIONE



“Che il Cibo sia la Tua medicina, e che la Medicina sia il Tuo cibo..." così recitava Ippolito di Kos molti secoli fa, quando nell’antichità era già chiara la relazione tra alimento e stato di benessere e salute.

Eppure, oggi nel moderno 2015, dove gli stati parlano di progresso e di lavorare per garantire una vita più facile e migliore, quotidianamente si mettono sul mercato prodotti dannosi e quindi pericolosi per coloro che li mangiano. Ne è un dato che, secondo l' Organizzazione Mondiale della Sanità il 50-60 per cento di tutti i tumori potrebbero essere evitati con una “buona dieta” che limiti fortemente il consumo di proteine animali.
Analiziamo ora il termine “BUONA DIETA”. Per dieta si intende stile, prassi, abitudine, scelta, è su quest’ultima che punterei l’attenzione perché oggi più spesso abbiamo persone e quindi consumatori che sanno tutto su uno smartphone e al momento dell’acquisto si pongono mille domande sull’affare e poi non sanno nulla e quindi non si pongono domande al momento dell’acquisto del cibo. Si possono così notare gente che si adatta e che compra ciò che la massa dice di comprare. Per Buona si intende adatta a se stessi, cioè al proprio corpo, alle proprie necessita e alla propria vita, non c’è qui la “globalizzazione della salute”, come vogliono far credere ma specificità e personalizzazione.



Relazione tra adenoma colon rettale ed assunzione alimentare di carne

Nessuno studio precedente ha valutato contemporaneamente le associazioni tra assunzione di carne, metodi di cottura della carne e livelli di cottura, mutageni nella carne (amine eterocicliche e idrocarburi aromatici policiclici), ferro eme e nitriti derivati dalla carne, e carcinoma colon rettale nelle donne asintomatiche che si devono sottoporre a colonscopia.
Delle 807 donne idonee all’arruolamento in uno studio di screening multicentrico con colonscopia, 158 casi di adenoma colon rettale e 649 controlli hanno completato il questionario sulla frequenza alimentare e sulla carne.
Utilizzando un database sui mutageni della carne e nuovi database sul ferro eme e sui nitriti, un gruppo di Ricercatori del National Cancer Institute negli Stati Uniti, ha valutato i componenti della carne che potrebbero essere coinvolti nella carcinogenesi.
La carne rossa è risultata positivamente associata ad adenoma colon rettale (odds ratio, OR quarto versus primo quartile: 2.02; P per tendenza=0.38 ).
Anche l’assunzione di carne saltata in padella ( OR=1.72; P per tendenza=0.01 ) e l’amina eterociclica, 2-amino-3,8-dimetil-imidazo[4,5-f]chinoxalina ( MeIQx ) ( OR=1.90; P per tendenza=0.07 ), sono risultate associate a un aumento del rischio di adenoma colon rettale.
I nuovi database hanno portato a stime più basse di ferro eme e nitriti rispetto ai precedenti metodi di valutazione, nonostante i due metodi siano risultati fortemente correlati per entrambe le esposizioni. Anche se non statisticamente significative, sono state osservate associazioni positive tra ferro e ferro eme della carne e l’adenoma colon rettale.
In conclusione, in donne asintomatiche che si sottopongono a colonscopia, gli adenoma colon rettali sono risultati associati a una elevata assunzione di carne rossa, carne saltata in padella e all’amina eterociclica MelQx.




I consumi moderni 

Un italiano, nella sua vita, mangia mediamente 1400 animali, Gli italiani consumano circa 87 kg di carne pro-capite all'anno, secondo le stime di Assomacellai, e quella bovina la fa da padrone con il 27% dei consumi totali. La spesa per acquisti di carne delle famiglie italiane è di 29 miliardi di euro e l'incidenza della spesa per carne sulla spesa alimentare in percentuale è del 23,2%. L'Italia è il secondo Paese a livello europeo per consumo della carne bovina e al primo posto c'è la Francia con 1,7 milioni di tonnellate. Il Retail assorbe 1 milione 281mila tonnellate, di cui 490mila attraverso il dettaglio tradizionale (le macellerie) e 791mila tramite la distribuzione moderna. Il canale Horeca assorbe 195mila tonnellate. In Italia sono attivi circa 80mila allevamenti specializzati nel segmento della carne bovina (dati Istat); 2.200 macelli industriali e 50mila punti di vendita al dettaglio, di cui 37mila sono le classiche macellerie (fonte Osservatorio Agri&Food di Cremona Fiere, dati riferiti al 2009).





La mattazione è un processo che segue regole ben precise e soprattutto regole legate a considerare il rispetto verso gli animali, anche durante questi difficili momenti. Tuttavia i consumi sempre in aumento hanno portato l’aumento anche degli stabilimenti di mattazione in grande scala. Ciò porta una serie di problematiche sul modo spesso usato per velocizzare le operazioni.






Un esempio; Questo maiale è ancora cosciente mentre viene immerso nell’acqua bollente.
Secondo un operatore all’interno di un mattatoio: “Non c’è modo che questi animali sanguinino a morte nei pochi minuti che percorrono la rampa. Nel momento in cui finiscono nella vasca di ebollizione, sono ancora pienamente coscienti e si lamentano. Succede sempre”.
Si possono scegliere vie diverse soprattutto sul punto di vista macellazione, regole che già esistono e che dovrebbero essere rispettate sempre.



LA QUESTIONE OGM



Sul fronte della tecnologia e della sperimentazione, i moderni esperimenti di laboratorio, la scienza hanno architettato e prodotto un’altra invenzione in ambito di allevamento di massa, trasformando le mucche in una enorme massa di muscoli. Ciò è quello che comunemente è definito prodotto OGM
(Organismo geneticamente modificato).Questa invenzione ha sicuramente dei lati positivi tra le quali quella di poterci aiutare in alcuni campi a fronteggiare delle difficoltà ma se abusata o mal utilizzata può diventare una terrificante arma contro la produzione e lo sviluppo anche per l’uomo stesso.
Tuttavia oltre a poter produrre interi capi atti alla macellazione OGM si è pensato di creare anche specifici mangimi OGM che vengono poi selezionati e somministrati a questi animali per produrre così carni bovine di “alta qualità”, atte poi a soddisfare i bisogni del consumatore. La regola di base è maggiore massa muscolare e quindi carne nel quarto e il minor quantitativo di scarto e ciò in termini di ricavo significa poter guadagnare di più, ma cosa dire quando il maggior guadagno ha il prezzo della salute di chi compra o ancor peggio del futuro di chi verrà dopo di noi?
Qui di seguito sono proposte delle immagini che mostrano dove si può spingere la genetica per produrre carne , semplice carne:







Ecco come si posso presentare alcune bovine da latte.







Di gran lunga lontana dall’immaginario che siamo abituati ad avere e che di norma presentano questi animali in normali condizioni di allevamento.






La notizia rassicurane è che mentre da una parte esisto situazioni così estreme e completamente errate che quotidianamente vengono intercettante da Enti ed Associazioni competenti e prontamente combattute, così dall’altra esistono Aziende serie e competenti in grandi di produrre secondo regola e legge e soprattutto secondo buon senso.

Una politica congrua e attiva sull’argomento può certamente fare la sua parte nella lotta contro la Mala produzione e permettere che il giusto modo di fare “Carne” nella filiera agroalimentare ci sia sempre, ed è alla luce delle ultime vicende Coldiretti –Aziende e con la chiusura in media di 60 aziende al giorno che l’agricoltura italiana si presenta all’Expo 2015 con 155 mila imprese in meno rispetto all’inizio della crisi nel 2007 e non può perdere l’opportunità di rilancio offerta dalla grande esposizione universale. Afferma Coldiretti: Oggi in Italia la metà della spesa è anonima, anche se il nuovo regolamento comunitario entrato in vigore il 13 dicembre prevede che a partire dal prossimo 1 aprile 2015 dovranno essere indicate in etichetta luogo di allevamento e di macellazione di carni suine e ovi-caprine. 

Ad oggi, quindi, in Europa è in vigore l’obbligo di indicare l’origine della carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza mentre dal 2003 è d'obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell'ortofrutta fresca, dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova. 

E’ senza dubbio chiaro, che solo serrando il controllo e l’attenzione sulle produzioni, quest’ultime da non attribuire solo agli Enti, si posso garantire sicurezza e legalità.